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HARPER'S ISLAND (SERIE COMPLETA)

2009 US

RESEÑAS (1)

RG

Roberto Giacomelli

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Henry e Trish devono sposarsi e vogliono celebrare la cerimonia ad Harper’s Island, luogo natio di Henry. Tra gli invitati al matrimonio c’è Abby, amica di vecchia data dello sposo e ora scrittrice trasferitasi a Los Angeles. Nel recente passato dell’isola c’è però un ferita ancora dolorosa, infatti solo sette anni prima un serial killer di nome John Wakefield uccise alcuni abitanti di Harper’s Island, tra cui la madre di Abby, prima di essere fermato e ucciso dallo sceriffo, padre di Abby. A pochi giorni dalla cerimonia, però, gli invitati del matrimonio cominciano a scomparire sotto i colpi di un assassino misterioso. Chi vuole emulare Wakefield? E per quale motivo? Nel 2004 il Re Mida televisivo (ma ormai anche cinematografico) J.J. Abrams ha lanciato un prodotto destinato a cambiare le sorti del serial televisivo, naturalmente sto parlando di “Lost”, serial di gran successo che ha scardinato le regole del racconto di fiction televisiva e dettato un nuovo trend produttivo/ideativo che ancora oggi ne sente le conseguenze. Conseguenze che stanno prendendo forma attraverso un numero e una varietà impressionante di serie tv, spesso realmente intenzionate a sperimentare. Ne è un esempio “Harper’s Island”, un serial autoconclusivo composto da un’unica stagione di 13 episodi. “Harper’s Island” nasce nella stagione 2008/2009 dell’emittente statunitense CBS e scaturisce dalla mente di Ari Schlossberg, sceneggiatore, tra l’altro, del thriller con Robert De Niro “Nascosto nel buio”. Lanciato con una intelligente campagna mediale che ha puntato tutto sul bodycount e sul mistero dietro l’identità dell’assassino, “Harper’s Island” ha usufruito anche di una mini serie parallela su web, “Harper’s Globe”, che aveva la funzione di approfondire alcune vicende legate ai contorni della storia e girate in stile amatoriale per creare un alone di realismo. Si parlava di sperimentazione; “Harper’s Island” in realtà non presenta nulla di originale, è uno slasher come ne esistono molti, fonde la meccanica christieniana di “Dieci piccoli indiani” alla più moderna scansione narrativa degli horror slasher contemporanei. Però non dobbiamo dimenticare che “Harper’s Island” è una serie televisiva, un serial per l’esattezza (continuità narrativa da episodio all’altro che crea un’unica grande storia), per di più autoconclusivo, come se si trattasse di un film lungo circa 12 ore. In questi termini il prodotto in questione appare un qualche cosa di particolarmente insolito per il panorama televisivo, probabilmente pensato con l’obiettivo di avvicinare un pubblico diverso al linguaggio della serie tv, un pubblico specifico che normalmente frequenta poco la tv ed è legato ai colpi di scena e alla violenza del moderno cinema thriller/horror statunitense. In tutto ciò Schlossberg e i suoi collaboratori sono stati molto abili, nonché coraggiosi, approcciandosi al “genere” in modo tanto classico quanto innovativo. Naturalmente reggere il gioco mistery per ben 13 puntate senza nessuna caduta di tono è cosa assai ardua e anche il team creativo dietro “Harper’s Island” non è riuscito a fare miracoli. La strada seguita dagli sceneggiatori, in questo caso, è stata quella di costruire un crescendo narrativo che prende davvero l’avvio a metà stagione; così facendo si rischia di non catturare gli spettatori fin da subito, premiando semplicemente i più pazienti. Le prime puntate, infatti, (diciamo la prima metà della serie) sono un poco fiacche, la vicenda ci mette troppo ad entrare nel vivo e il clou di ogni puntata è la morte di un personaggio, che solitamente rappresenta la chiusura. Ovviamente le prime puntate, di contro, sono utilizzate per delineare le caratteristiche caratteriali di ogni personaggio e per introdurre le sottostorie, anche se c’è da ammettere che gran parte dei personaggi non possono considerarsi davvero riusciti. Se escludiamo, infatti, i veri e propri protagonisti della serie, più qualche eccezione (la coppia formata dal giovane medico inglese e dalla biondina svampita, il bifolco isolano Shane e lo sceriffo Mills), gran parte del “popolo” di “Harper’s Island” è formato da personaggi poco carismatici, a volte estremamente superficiali seppur “duraturi” e per lo più inseriti nella vicenda solo per far numero. Altre volte ci si trova con personaggi che, seppur adeguatamente caratterizzati, risultano estremamente banali e dall’inconfondibile alone di déjà-vu, a cominciare dal fratello depresso e dark e dalla bambina che vorrebbero farci passare per inquietante. Giunti però intorno al 6/7 episodio, quando ormai le caratterizzazioni, nel bene e nel male, sono ormai allo scoperto, ci si comincia a dedicare all’intreccio, sempre più complicato e coinvolgente, fatto di rivelazioni e colpi scena (alcuni anche anticipati da depistaggi “scorretti”, c’è da dirlo). La conclusione e scioglimento del mistero, seppur non originale né particolarmente “intelligente”, è piuttosto ben congegnata e riesce a rimediare anche a quelli che di tanto in tanto potevano essere identificati come buchi di sceneggiatura. C’è da aggiungere che, pur trattandosi di prodotto televisivo, c’è sempre una particolare cura per l’aspetto visivo (fotografia e scenografie in primis) e anche una dose di gore non indifferente portata in scena da uccisioni spesso fantasiose e talvolta anche truci che avvicinano “Harpers’s Island” all’universo horror tout court. Insomma, “Harper’s Island” è una serie tv a cui vale la pena accostarsi soprattutto se si è appassionati al genere thriller/horror-slasher, i difetti sono spesso macroscopici e risiedono proprio lì dove si stanzia l’abc della fiction televisiva, ma la singolarità di questo prodotto ne fa comunque un oggetto da visionare a prescindere, un esperimento che forse non avrà neanche un effettivo seguito nel linguaggio televisivo (gli ascolti in America – ma anche in Italia – non ne hanno decretato il successo) e per questo anche più prezioso. Probabile sorte da cult e rivalutazione retroattiva.