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Alessandro Carrara
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Trevor Reznik (Christian Bale) una volta era un semplice operaio specializzato in macchine utensili manuali (torni, frese, centri di lavoro) in un’officina meccanica della provincia americana. Un giorno della sua vita, però, succede qualcosa, ma la sua psiche rimuove completamente il fatto. Da allora Reznik non è più la stessa persona, comincia a perdere peso sino ad arrivare a 45 kg, e non riesce più ad interagire umanamente con i suoi compagni di lavoro. Peggio ancora, non riesce a dormire da un anno, cioè dal tempo dell’evento cancellato dalla sua mente, e i segni di questo grave disturbo ormai lo stanno piegando fisicamente e psicologicamente. Le uniche due persone con cui riesce a parlare e ad aprirsi sono due donne molto diverse fra loro: Stevie (Jennifer Jason Leigh), una prostituta di cui Trevor è assiduo cliente e che a poco a poco è diventata la sua confidente, e Marie (Aitana Sànchez-Gijòn), la cameriera del bar dell’aeroporto dove Trevor si reca ogni notte sempre alla stessa ora a fissare una tazzina di caffè per ore.
Ad un certo punto compare un misterioso individuo, che sostiene di essere un nuovo lavoratore della ditta, caratterizzato dall’aver perso le dita della mano in un incidente al tornio e che sembra conoscere molto bene Trevor.. Costui stringe una specie di amicizia con l’insonne, ma nessuno degli altri operai sembra ricordarsi di lui e per giunta non risulta da nessuna parte nei registri dell’azienda. La presenza di questo personaggio causerà in breve una profonda inquietudine nell’operaio, e ben presto molti strani avvenimenti cominceranno ad accadere. Il macchinista comincerà quindi a sospettare di essere al centro di una misteriosa macchinazione contro di lui, la chiave di lettura di quanto sta succedendo però non dovrà essere cercata fuori, bensì nel passato dell’uomo...
”The Machinist” (titolo originale de “L’uomo senza sonno”) è un altro film della stagione 2004 a rivelarsi una grossa sorpresa per lo spettatore, insieme all’altrettanto pregevole “the Village” di Shyamalan. Il film si presenta come un allucinato thriller psicologico che ruota intorno al protagonista, un incredibile Christian Bale che affronta una trasformazione fisica tale da renderlo quasi irriconoscibile, per dare un’interpretazione di quelle che si vedono molto raramente, specie con personaggi così psicologicamente sofferti come Trevor Reznik. In realtà allo scioglimento del nodo della storia ci si rende conto che il film non è il solito clone di “Seven”, nonostante le atmosfere date dalla fotografia e lo stile della regia (assolutamente impeccabile) richiamino profondamente lo stile dei serial killer movies degli anni ’90.
Alcune critiche sono state mosse al minimalismo della sceneggiatura di Scott Kosar, apparentemente infondate poiché la trama una volta dipanata risulta certamente semplice, ma d’altro canto gira come un orologio svizzero ed è letteralmente disseminata di piccoli particolari e rimandi che possono essere compresi solo al termine della pellicola oppure dopo varie visioni del film; inoltre alcune scene, come quella in cui Trevor si trova a scegliere fra due tunnel, uno che porta verso la luce e l’altro verso l’oscurità, hanno un’altro valore simbolico. Tutto questo è certamente pregevole, specie in un periodo dove molti film vengono sceneggiati in maniera alquanto semplicistica.
L’atmosfera dell’officina, sporca, unta, e oscura rispecchia perfettamente quella del luogo di lavoro reale, nonché i possibili incidenti che possono accadere in un ambiente di lavoro di quel tipo (anche le mutilazioni visibili nel film sono più che verosimili, come può confermare chiunque abbia avuto l’occasione di lavorare con delle macchine utensili) anche se oggi con l’avvento del CNC (il controllo numerico) l’ambiente di lavoro è cambiato molto, in meglio. Probabilmente la scelta low-tech di un’officina meccanica di 30 anni fa è stata dettata dal desiderio di ricreare quel tipo di atmosfera: sporca, rumorosa e pericolosa.
In conclusione, “The Machinist”, pur non essendo un horror o un thriller nel senso stretto del termine, è un gran bel film che riesce a trasmettere angoscia sino alla fine, ottimamente recitato, superbamente fotografato, perfettamente sceneggiato ed eccellentemente diretto. La parola “capolavoro” ormai è inflazionata, ma senza ombra di dubbio ci troviamo di fronte a un gran bel film, sicuramente raccomandato e da vedere possibilmente sul grande schermo.