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Andrea Costantini
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Paul Edgecombe è un uomo molto anziano e vive in una casa di riposo. Un giorno, colto da un’improvvisa tristezza, racconta la sua vita alla cara amica Elaine, in particolare gli eventi che accaddero nel 1935, quando era una guardia carceraria nel braccio della morte di Cold Mountain. Quello fu l’anno in cui arrivò nella prigione il gigante John Coffey e le vite di molte persone, compresa quella di Paul, cambiarono. L’uomo era accusato dell’omicidio di due bambine e fu condannato alla sedia elettrica ma dopo alcuni incredibili avvenimenti, in Paul e in alcune altre guardie, iniziò a vacillare la certezza sulla colpevolezza di Coffey.
Inutile spendere parole introduttive per spiegare di chi stiamo parlando. Stephen King, colui che è stato definito dal mondo il Re del Brivido, un uomo che ha alle spalle oltre cinquanta romanzi, la maggior parte dei quali è finito in cima alle classifiche di vendita di tutto il mondo, un uomo che ha trasformato la parola “orrore” in qualcosa di concreto, di quotidiano che ti si insinua sotto la pelle e non ti lascia più. Una parola basterebbe per descriverlo: genio.
Ma il Re dell’horror in realtà nella sua longeva carriera non ha raccontato soltanto storie horror
fatte di mostri inventati. Ha scritto anche romanzi che parlano dell’orrore, quello reale fatto di mostri veri che vivono tra le pareti domestiche delle case comuni americane, mostri che potrebbero nascondersi dietro la maschera che il nostro vicino indossa e trasformare la quiete di una vita tranquilla in un inferno senza uscita.
I primi che saltano alla mente sono “Dolores Claiborne”, che tratta violenze domestiche, oppure “22/11/63” che racconta una vicenda che ha cambiato il mondo. Nonostante queste storie siano costruite su argomenti tutt’altro che fantasiosi, nei personaggi di King c’è sempre un qualcosa di magico, di paranormale. Nei suoi romanzi sono enfatizzate ma non sono altro che trasfigurazioni di quelle magie che esistono nella vita reale, benigne o maligne che siano.
E qui finalmente arriviamo a parlare de “Il miglio verde”, che rientra perfettamente in questo filone di storie del Re. Questo capolavoro della letteratura è stato trasformato in ottimo film dal bravo Frank Darabont che già aveva stupito il mondo con un altro adattamento di King, “Le ali della libertà” tratto dal bel racconto “Rita Hayworth e la redenzione di Shawshank”, presente nella raccolta “Stagioni diverse” (e successivamente dirigerà “The Mist”).
E come per il precedente lavoro, fa centro. Riesce a cogliere alla grande quella magia che pervade in ogni pagina del romanzo e la trasforma in immagini che scorrono sullo schermo travolgendo lo spettatore in tutte le oltre tre ore di durata del film, senza mai farlo annoiare anzi, rendendolo parte di un mondo in cui le cose non vanno come dovrebbero. Un mondo fatto di crudeltà, pieno di cattivi, di gente disposta a dire menzogne e infangare l’onore di una persona perbene, magica, unica, pur di difendere quello che resta della sua anima, corrotta dal diavolo e che farebbe qualsiasi cosa pur di evitare di percorrere, il cosiddetto “miglio”, tanta è la distanza fatta di linoleum verde che i condannati devono percorrere per raggiungere la vecchia sedia elettrica.
E’ un male che fa tanto male, perché tutta la vicenda ruota intorno al ruolo chiave del gigante buono John Coffey, il cui nome è pronunciato come la bevanda ma scritto in maniera diversa, che è l’arma perfetta per contrastare questa presenza maligna di cui il film è permeato, è la gigantesca pozione magica che guarisce il mondo dalla cattiveria, la elimina soffiandola via e come una nuvola di insetti prende il volo verso
luoghi lontani.
Le sue vicende hanno commosso il mondo. Merito di questo successo è anche la prova di recitazione del grande (e ahinoi scomparso prematuramente) Michael Clarke Duncan, che mette in scena tutta la sua presenza fisica, dando vita ad un personaggio che non sarà mai dimenticato. Ma non è solo il personaggio di Coffey che lascia lo spettatore incollato allo schermo (e al pacchetto di fazzoletti), è l’insieme degli avvenimenti della storia che messi uno dopo l’altro, tessono una trama che lascia a bocca aperta.
Si potrebbe scrivere per pagine e pagine parlando di questa opera, del libro e del film, di quanto sia avvincente, profonda, spaventosa e commovente rischiando magari di rovinarne la trama a coloro che ancora non l’hanno visto.
Quindi il modo migliore per concludere la recensione è un consiglio: prendere il dvd, mettetelo nel lettore, spegnere il telefono per tre ore vivere e crescere con questa grande avventura.
O meglio ancora, correte nella libreria più vicina.