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IO NON HO PAURA

Io non ho paura

2003 IT
febbraio 8, 2003

Nelle assolate campagne del Sud Italia Michele, dieci anni, vive un'estate che non sarà come le altre, perchè segnata da un incontro che significherà per lui la perdita dell'innocenza e la conquista di una nuova consapevolezza.

Registi

Gabriele Salvatores

Cast

Giuseppe Cristiano, Dino Abbrescia, Aitana Sánchez-Gijón, Diego Abatantuono, Fabio Tetta, Riccardo Zinna, Giulia Matturro, Antonella Stefanucci, Fabio Antonacci, Giorgio Careccia
Dramma Thriller Crime Mistero
HMDB

RECENSIONI (1)

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Adamo Dagradi

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Io non ho paura, l'ultimo film di Gabriele Salvatores, è visto attraverso gli occhi di un bambino che, girovagando per i campi di grano, trova qualcosa nascosto in un buco nel terreno. Dapprima è convinto che sia un cadavere, poi, dopo averlo visto muoversi, si convince che sia una specie di zombie, un bambino-mostro, forse un fratello "cattivo", segregato per impedirgli di fare del male. Alla fine, superata la paura di avvicinarlo, capisce che è solo un coetaneo rapito e nascosto, sporco e reso quasi cieco dal buio. Il povero prigioniero è convinto di essere morto, crede che il buco stesso sia "il posto dove vanno i morti". Come se non bastasse il protagonista scopre che la sua famiglia è implicata nel rapimento ed è costretto a dormire con un "ospite" di Milano (Diego Abatantuono): un individuo losco, che viaggia con una valigia piena solo di pochi vestiti ed una pistola. Origliando i discorsi degli adulti verrà a sapere che la banda si prepara ad uccidere l'ormai scomodo fardello. Io non ho paura è la scritta che appare scarabocchiata sulla parete di una caverna, in uno stampatello elementare, nella prima sequenza del film. Una carrellata sotterranea, che scivola sul piccolo corpo del rapito, appena delineato dalla coperta che lo nasconde, per poi emergere, attraverso terra e radici, alla luce accecante dei campi di grano. "Io non ho paura" è una frase da ripetersi, un mantra inutile, quando di paura se ne ha tanta. Ed è la paura a segnare l'estate di Michele: la sua scoperta del buco, la sua discesa in questo piccolo inferno per scoprire il corpo vivo e martoriato del coetaneo in prigionia, la scoperta di avere per genitori dei criminali, il non potersi più fidare delle due figure più importanti: quelle rassicuranti per eccellenza. Il resto sono i ricordi di un'estate nei grandi, assolati, spazi del Sud. I campi ed i cortili vuoti, i viaggi in bicicletta con gli amici, i giochi un po’ crudeli dei bambini, la natura straripante che lo circonda: a volte paurosa come i corvi ed i maiali "che mangiano anche le ossa", a volte rassicurante, come l'albero che lo accoglie tra le fronde quando è triste. La paura riempie anche le giornate di Filippo, da mesi chiuso in un buco oscuro, incatenato, convinto di essere morto e di essere stato sufficientemente cattivo da meritare questo limbo. Gabriele Salvatores dirige il suo film più bello e coraggioso, iniziandolo con piglio quasi horror, soprattutto nella scelta di presentare, anche visivamente, il prigioniero come uno zombie a cui la fantasia dell'altro bambino dà vita propria e continuandolo come un anomalo, ma efficace, thriller italiano. Grazie alla splendida fotografia, all'ottima recitazione di tutto il cast, al piglio sicuro di una regia priva di virtuosismi (ma impreziosita da lunghe sequenze, morbide ed accorate) Io non ho paura si segnala come il miglior prodotto italiano della stagione. Un thriller in cui la tensione non si scioglie fino alla fine, trasformandosi dalla viscerale paura infantile del primo tempo (un orrore che attinge al mondo della fiaba e delle superstizioni contadine), all'angoscia del secondo: angoscia di chi ha il nemico in casa e non vorrebbe aver visto, ma non può esimersi dal fare la cosa giusta. Una visione intensa, ricca di brividi e commozione, anche grazie alla vivida ambientazione anni ottanta. Reduce da alcuni fallimenti artistici (Amnèsia in cima a tutti) e commerciali (ma Denti e Nirvana sono assolutamente da riscoprire), Salvatores sembra essere rimasto l'ultimo, nello sconsolato panorama cinematografico nostrano, a voler dirigere film originali da esportare al grande pubblico. La trasposizione cinematografica dell'omonimo romanzo di Niccolò Ammanniti, scritto con un occhio allo Stephen King di Stand by Me, si è rivelata una scommessa vincente.