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Vincenzo de Divitiis
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Una ragazza resta in panne con la macchina in aperta campagna e, come se non bastasse, il suo cellulare si scarica lasciandola senza alcuna possibilità di comunicare con il mondo circostante e chiedere aiuto. L’unica cosa che le rimane da fare è camminare lungo il bosco alla ricerca di un posto in cui poter chiamare i soccorsi. Le cose sembrano andare per il verso giusto quando la giovane si trova difronte ad una villetta abitata da una gentile signora anziana che le offre ospitalità. Ma non tutto è sereno e tranquillo come sembra, e la casa nasconde qualcosa di misterioso che sarebbe meglio non scoprire.
All’interno di un panorama di produzioni indipendenti caratterizzato da pellicole che, aldilà del loro valore artistico, cercano sempre di trovare la via più sicura e immediata per attrarre il pubblico e quindi utilizzare i filoni più in voga del momento, esistono anche autori che al contrario seguono strade autonome per confezionare prodotti originali ed atipici. È il caso della giovane regista genovese Giulia Savi la quale, al suo terzo cortometraggio,
realizza un thriller psicologico, dal titolo “Echo”, dai toni più vicini al dramma che all’horror classico.
Eppure, a volerla dire tutta, i primi minuti di “Echo” non sembrano evidenziare una certa originalità e lo spunto da cui parte il film è molto semplice: una ragazza che rimane bloccata in un posto isolato, il cellulare che come per magia si scarica ed una casa in mezzo al bosco abitata da una signora gentile ma dall’aspetto ambiguo e poco chiaro. Ma proprio partendo da questo canovaccio che sa di già visto, i due sceneggiatori Giulia Savi e Giuseppe Anderi (che pare abbiano tratto ispirazione da un sogno della stessa regista) riescono a costruire un plot che abbandona a poco a poco i soliti cliché per arrivare a raccontare una storia incentrata sull’idea della solitudine, da sempre considerata la più grande paura insita nell’animo umano e in stretta correlazione con la vecchiaia. Un male ciclico e comune che può colpire ognuno di noi, e proprio in questa direzione va letta la scelta di non fornire alcun riferimento temporale e geografico su dove si svolge la vicenda e di non dare un nome alle due protagoniste.
Un argomento impegnativo e non dei più semplici da sviluppare, che però la regista riesce a rappresentare in maniera più che egregia per merito di una sceneggiatura solida che si poggia per gran parte su una lunga serie di dialoghi volutamente banali e intrisi di luoghi comuni proprio a sottolineare l’incomunicabilità fra le due donne; ne è un esempio la conversazione sulle condizioni climatiche e le mezze stagioni, oppure il tentativo dell’anziana donna di intrattenere la ragazza facendole saggiare un dolce da lei preparato per l’occasione. Tutti elementi che concorrono a costruire una situazione innocua e al tempo stesso pronta a degenerare da un momento all’altro creando così una tensione mai evidente, ma che si muove silenziosa durante tutto l’arco del film fino ad esplodere in una sequenza finale che ricorda, seppur con premesse e sviluppi diversi, un cult come “Ballata macabra” di Dan Curtis.
Tecnicamente valido, anche grazie ad una fotografia (curata da Maurizio Marras) che tende a rendere molto luminosi gli interni di una casa piuttosto inquietante, “Echo” può avvalersi di una regia non molto dinamica, ma curata e attenta a comporre inquadrature geometriche e dal forte valore simbolico, su tutte quelle che immortalano le due protagoniste a cena sedute ai due opposti del tavolo quasi per mostrare anche visivamente la distanza effettiva fra le due.
Da rimarcare anche l'ottima colonna sonora sempre al passo con i momenti della storia e caratterizzata dall’utilizzo di un eco di voci (da qui il titolo del film) che sottolinea il disagio della giovane donna e gli effetti negativi che la casa sta avendo su di lei. Altre note positive arrivano da un cast all’altezza della situazione e composto dalla brava Manuela Parodi (“La luna su Torino”) e da una Paola Marini Ragni il cui stile recitativo impostato e di stampo teatrale si rivela più che adeguato per dare spessore al suo personaggio. All'interno del cast tecnico, invece, una citazione la merita il fotografo Valter Torielli, autore - in collaborazione con la stessa autrice del corto - di un poster suggestivo che lascia intendere la presenza di qualcosa di oscuro e inquietante all'interno della storia.
“Echo”, in conclusione, è un prodotto complesso ma capace di catturare l’attenzione anche di coloro che prediligono pellicole più sanguinolente e ancorate alle dinamiche più classiche del genere.