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Roberto Giacomelli
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Laura vive sola con suo figlio adottivo Liu-San, un bambino di origine mongole in procinto di compiere sette anni. Nei giorni che precedono il suo compleanno, sulla spalla sinistra del bambino compare una strana voglia a forma di cerchio e comincia anche ad avere degli incubi che stranamente sono gli stessi che ha anche sua madre. Una notte madre e figlio hanno un brutto incidente stradale, Laura se la cava con qualche livido e Liu-San finisce in coma, ma, come per miracolo, il bambino ne esce e guarisce di ogni ferita nell’arco di pochi giorni. Il giorno del suo compleanno Liu-San viene rapito e condotto nel suo paese di origine per essere sacrificato da una setta che ha notato le sue doti particolari. Laura si mette sulle sue tracce.
Jean-Christophe Grangè ha già fornito al cinema francese materiale per la produzione di grandi successi di pubblico, basti pensare a “I fiumi di porpora” e “L’impero dei lupi”, entrambi tratti da due suoi romanzi, nonché la sceneggiatura del thriller alchemico “Vidocq”. L’ultimo film tratto da un best-seller di Grangè è “L’eletto”, infelice titolo dato dalla distribuzione italiana a “Le concile de pierre”, un thriller misticheggiante e permeato di soprannaturale che farà la felicità di coloro che hanno problemi di insonnia.
“L’eletto” ha due grandi problemi: una lentezza narrativa eccessiva e una storia inutilmente complicata. La lentezza che appesantisce la visione del film è un grave demerito per un film di genere,
soprattutto se si tratta di un film ricco di eventi che ha tutte le potenzialità per coinvolgere adeguatamente lo spettatore. Questa pesantezza è accentuata sicuramente da una preoccupante seriosità di fondo che sembra voler elevare il film ad un qualche cosa di più ambizioso che un semplice thriller soprannaturale e finisce invece per rendere addirittura ridicoli alcuni passaggi della trama. Il senso di oppressione e stanchezza che si prova nel guardare “L’eletto” è poi da attribuire ad una sceneggiatura pasticciata a opera di Stephane Cabel (“Il patto dei lupi”) e Guillaume Nicloux. Il problema risiede probabilmente nel voler condensare in appena 90 minuti di film un romanzo di oltre 400 pagine (il romanzo in Italia è stato stampato con il titolo “Il concilio di pietra”) senza voler rinunciare a nessuno dei numerosi risvolti che l’intricata trama possiede. E così si ha un minestrone in cui sono gettati senza alcun criterio logico esperimenti governativi, armi militari segrete, profezie mistiche, poteri miracolosi, sette diaboliche e uomini animali, il tutto mescolato con tale disordine e incapacità da
rendere perfino complicata la comprensione di tutti i passaggi del film.
A suo vantaggio “L’eletto” ha comunque una certa eleganza stilistica, caratteristica di molte grandi produzioni francesi, e una buona interpretazione di Monica Bellucci, molto attraente anche senza trucco e capelli corti, particolarmente credibile nel ruolo della mamma preoccupata, il cui personaggio è stato anche migliorato in confronto a quello un po’ troppo grintoso del romanzo. Affianco alla Bellucci troviamo invece una Catherine Deneuve poco coinvolta e fuori parte e uno spaesato Moritz Bleibtreu (“The Experiment”; “Speed Racer”). Decenti gli effetti speciali in digitale.
In conclusione, “L’eletto” è un film noioso, mal scritto e incapace di gestire una storia troppo complicata per essere raccontata in poco tempo. Lampante esempio di come non si deve realizzare un thriller.
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