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Roberto Giacomelli
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La polizia sta dando la caccia a La Cuspide, un serial killer che uccide le sue vittime e poi le riporta in vita ripetutamente, amplificando il loro dolore. Ma le forze dell’ordine hanno chiesto l’aiuto di Maya Casteneda, una delle poche vittime del killer riuscita a salvarsi che in seguito ha sviluppato delle doti paranormali proprio grazie alle numerose esperienze di morte a cui l’assassino l’ha sottoposta. Maya ha la facoltà di entrare nella mente delle persone e ora, insieme allo sceriffo Harris, è sulle tracce della Cuspide che ha rapito proprio la nipote dello sceriffo.
Come di consuetudine per la Sony Home Enterteinment, ogni film che abbia avuto un discreto ma non eccezionale successo di bottheghino merita un sequel destinato al mercato dell’home video. Stavolta è toccato a “The Cell”, thriller “eccentrico” diretto nel 2000 dall’indiano Tarsem Singh e con Jennifer Lopez nel ruolo della protagonista.
Il film d’origine è un emblematico caso di netta rottura tra fan e detrattori, c’è chi lo considera un thriller innovativo e affascinante e chi lo ritiene una ridicola accozzaglia di banalità visivamente ricercate. La verità, come spesso accade, sta nel mezzo: un thriller banalotto che narrativamente non aggiunge nulla al genere ma con il pregio di un’estetica affascinante che lo rende unico nel suo settore. Ora, a distanza di ben nove anni, arriva il seguito, che svuotato dalla ricercatezza estetica del predecessore rimane un thriller banale e stupidino come se ne vedono molti tra gli scaffali dei videostore.
La storia di “The Cell 2” prende spunto molto alla lontana da quella del primo capitolo, creando un legame di continuità solamente in un inutile e forzatissimo miniprologo in cui una voce narrante e qualche immagine di repertorio spiega in poche parole il passaggio di testimone tra le due protagoniste. L’unico punto di contatto narrativo è la capacità della protagonista nel riuscire a penetrare nella mente di un serial killer, ma se prima accadeva grazie alla tecnologia, qui è tutta farina del sacco della bella ispanica che hanno messo a reggere la baracca; insomma il film entra
più direttamente nel mondo del soprannaturale e lo fa in modo sfacciato e senza troppe spiegazioni. Di poliziotti o consulenti alle indagini con poteri mentali e/o doti paranormali se ne sono visti a bizzeffe nel cinema, quindi l’idea degli sceneggiatori (ben quattro!) non è tra le più sorprendenti; l’unica cosa che appare interessante nel plot di questo film è il modus operandi del killer, l’amplificazione del dolore tramite continue morti e resuscitazioni. La cosa sa di improbabile, ok, ma l’idea non è affatto male, peccato poi che si sia deciso di condire il tutto con scelte discutibili e risibili: la Cuspide ha un nascondiglio, un look (vestito nero con cappuccio calato sul volto) e alcuni marchingegni di tortura che ricordano insistentemente l’Enigmista dell’onnipresente “Saw”, inoltre alcune sue caratteristiche come la paura del buio e la voce inspiegabilmente metallica, nonché il fiacchissimo scontro finale tolgono molto al fascino che la sua figura inizialmente poteva suscitare.
La regia del televisivo Tim Iacofano (le serie tv “24”, “C.S.I.” e “Supernatural”) è molto anonima, la classica mano di chi è stato messo lì solo perché c’era bisogno di qualcuno che svolgesse la sua mansione; inoltre a tratti è evidente
l’origine low budget del prodotto, mascherata alla meno peggio con molti interni, esterni girati esclusivamente in cave e nei pressi di capannoni abbandonati e una fotografia che fa di tutto per risultare ricercata con l’uso di cromature particolari. Il risultato è ovviamente modesto e si avvicina più a quello di una serie tv di quelle meno prestigiose piuttosto che a un lungometraggio che porta il titolo del film con la Lopez.
Il cast lascia molto a desiderare con una Tessie Santiago e un Chris Bruno - rispettivamente nei panni di Maya e dello sceriffo Harris – poco espressivi e la partecipazione di Frank Whaley, che qualcuno ricorderà come il Brett di “Pulp Fiction”.
L’unica consolazione è che almeno “The Cell 2” non annoia.