The Poughkeepsie Tapes backdrop
The Poughkeepsie Tapes poster

THE POUGHKEEPSIE TAPES

2007 US
aprile 27, 2007

Quando centinaia di videocassette che mostrano torture, omicidi e smembramenti vengono trovate in una casa abbandonata, rivelano il regno di terrore decennale di un serial killer e diventano la raccolta di prove più inquietante che gli investigatori della omicidi abbiano mai visto.

Registi

John Erick Dowdle

Cast

Stacy Chbosky, Ben Messmer, Lou George, Ivar Brogger, Michael Lawson, Amy Lyndon, Ron Harper, Samantha Robson, Kim Kenny, Beth Tapper
Horror Thriller Crime Mistero
HMDB

RECENSIONI (1)

CR

Cristina Russo

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Gli agenti dell’FBI, dopo anni di serrate indagini, risalgono all’indirizzo di un efferato serial killer al quale danno la caccia da molto tempo ma, una volta giunti nell’abitazione di Poughkeepsie, troveranno soltanto una gran quantità di videocassette. I filmati, girati dallo stesso assassino, verranno visionati ed attentamente studiati in modo da tracciare il profilo psicologico dell’uomo. Risale al 2007 questa misconosciuta pellicola diretta dall’autore di “Quarantena” (2008), “Devil” (2010) e del recente “Necropolis – La città dei morti” (2014). John Erick Dowdle sembra essere particolarmente affezionato al found footage, sperimentandolo per la prima volta e con ottimi risultati proprio in “Poughkeepsie Tapes”. Pur essendo costruita sui clichè tipici del genere, la pellicola in questione presenta elementi d’innovazione ben sviluppati ed ingegnosamente inseriti in un contesto sempre dinamico e mai scontato. Abbandonati i classici canoni cinematografici, Dowdle decide di raccontarci la storia di un sadico assassino in chiave documentaristica, a metà strada tra found footage e mockumentary. Il regista americano è abile a manipolare stili e generi oramai inflazionati, confezionando un’opera forse unica nel suo genere. Il film viene montato come se fosse un programma televisivo di cronaca nera con tanto di interviste, testimonianze e ricostruzioni – tutto ovviamente finto – che ripercorrono i momenti salienti della vita del massacratore, ribattezzato “The Butcher”. Alla parte puramente investigativa, che include l’analisi del modus operandi del macellaio e l’esposizione cronologica dei fatti, si alternano momenti estrapolati dalle videocassette realizzate dalla mano stessa dell’omicida. Quest’ultimo, dedito a nefandezze e abusi di ogni genere (stupri, mutilazioni, necrofilia) ha infatti l’insana passione di filmare ogni fase del proprio piano criminale: dagli appostamenti, ai rapimenti, alle torture fino all’inevitabile epilogo. Tali segmenti di vita “reale” (traditi però dalla presenza della colonna sonora) incidono positivamente sul ritmo narrativo, andando a spezzare i racconti minuziosi e terrificanti delle persone direttamente coinvolte e degli addetti ai lavori e, nemmeno a dirlo, sono il punto forte del film. A differenza di ciò che ci si potrebbe aspettare, la violenza e la brutalità con cui opera il maniaco non vengono mai messe in scena in modo pornografico bensì attraverso inquadrature e situazioni che lasciano ampio spazio all’immaginazione, già morbosamente stuzzicata dai raccapriccianti e dettagliati resoconti degli agenti. Tale scelta (probabilmente dettata anche da limiti di budget), nonostante la carenza di episodi particolarmente cruenti e la quasi totale assenza di effetti speciali, si rivela devastante per lo spettatore, soprattutto dal punto di vista psicologico. Le immagini amatoriali traballanti, sgranate e in bianco e nero, mostrano timidamente la figura del misterioso uomo, dalle movenze teatrali e col volto sempre nascosto dietro inquietanti maschere. A rincarare la dose, la spiazzante e sconvolgente testimonianza di una delle vittime scampate alla morte, liberata dopo molti anni di prigionia e colpita dalla sindrome di Stoccolma. Alla fine del film è lecito che sorga qualche dubbio sulla non autenticità dell’intera vicenda, non solo perché gode di un eccezionale e raro piglio realistico, ma anche perché il ritratto del serial killer potrebbe tranquillamente corrispondere a quello di uno dei tanti assassini seriali americani realmente esistiti ed esistenti: un film non poi così tanto “film”. Seppur il comparto narrativo mostri qualche lacuna e non sia il massimo della scorrevolezza, l’impatto visivo e il coinvolgimento mentale sono talmente elevati da sopperire la mancanza. Il merito più grande del regista è sicuramente quello di aver saputo gestire con arguzia e sapienza tecnica una storia che è frutto dell’immaginazione ma dai contenuti plausibili, mettendo bene in evidenza gli aspetti più crudi e malsani insiti in un individuo dalla personalità deviata e perversa. Una pellicola disturbante, malata e marcia, capace di risvegliare un certo appetito voyeuristico ammantato di angoscia e depravazione, che ci schiaffa in faccia un orrore indicibile e, soprattutto, spaventosamente reale.

Trailer