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Les Nerfs à vif poster

LES NERFS À VIF

Cape Fear

1991 US
novembre 13, 1991

Condamné à quatorze ans de prison pour viol et voie de fait sur une mineure, Max Cady n'a jamais pardonné à son avocat Sam Bowden de l'avoir abandonné. Tout au long de sa peine, il s'est employé à discipliner son corps et son esprit, se fixant pour unique but de châtier Bowden, de briser les siens. Et aujourd'hui, Max Cady est libre…

Réalisateurs

Martin Scorsese

Distribution

Robert De Niro, Nick Nolte, Jessica Lange, Juliette Lewis, Joe Don Baker, Robert Mitchum, Gregory Peck, Martin Balsam, Illeana Douglas, Fred Thompson
Drame Thriller Crime
HMDB

CRITIQUES (1)

AC

Andrea Costantini

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Max Cady, un uomo violento e molto pericoloso, è appena uscito di prigione dopo aver scontato sedici anni per stupro e si trasferisce nella città in cui vive il suo vecchio avvocato Sam Bowden e tutta la sua famiglia. Inizialmente cerca di attaccare bottone con l’avvocato ma in realtà i suoi scopi vanno ben oltre l’amicizia. Egli è convinto che il legale non l’abbia difeso a dovere durante il processo, anzi, che abbia volontariamente omesso dei dettagli sul suo caso per farlo finire dietro le sbarre. Con l’odio nel sangue, Cady mette in piedi un diabolico piano per tormentare Sam e la sua famiglia. Partiamo dal principio. Correva l’anno 1962 quando Lee Thompson, regista del film “I cannoni di Navarone”, basandosi sul libro “The Executioners” di John McDonalds, diresse due mostri sacri della cinematografia mondiale come Robert Mitchum e Gregory Peck, interpreti talmente potenti che non possono non materializzarsi davanti agli occhi quando si pronuncia la parola Attore. Il film era Il promontorio della paura, ancora oggi un grande esempio di cinema di tensione. Trent’anni più tardi ecco che un pilastro portante del cinema moderno, forse il più grande regista attualmente in vita, autore di capolavori assoluti quali “Taxi Driver” e “Quei bravi ragazzi”, riprende la storia del criminale Max Cady e del perseguitato avvocato Sam Bowden. Ebbene si, Martin Scorsese alle prese con il suo primo remake, riadatta le vicende originariamente raccontate da Thompson e le rende sue, grazie all’inconfondibile stile che lo ha reso celebre. Primissimi piani, montaggio veloce alternato a piani sequenza, celeri carrellate e un cast che fa il possibile per obnubilare il film predecessore. Tutto questo è “Cape Fear”, “Il promontorio della paura” versione anni Novanta. Si parlava di cast quindi sembra doveroso cominciare con le presentazioni: i coniugi Bowden sono interpretati da Nick Nolte e Jessica Lange (allora già premio Oscar per “Tootsie”), due attori perfettamente nella parte della famiglia tormentata da un errore del passato. Comparsate illustri anche per gli interpreti originali Peck e Mitchum che non potevano mancare al carosello di star del film. Ci siamo dimenticati di qualcuno? Ovvio che si. Il motivo principale per cui “Cape Fear” entra di diritto nella lista dei film che non possono mancare nella videoteca di un vero amante del thriller è appunto la parte restante del cast che non è ancora stata citata: Robert De Niro, che non ha bisogno di presentazioni e la (allora) semi sconosciuta Juliette Lewis. Sulle loro spalle, come su quelle del mitologico Atlante, poggia l’universo del film. La coppia di attori interpreta rispettivamente un maniaco ai limiti del demoniaco, una creatura del male che non ha scrupoli nel distruggere tutto ciò che è caro all’avvocato che lo ha sbattuto in galera anni prima e una sedicenne imbarazzata, una spaesata bambina appena entrata nel mondo reale carica di voglia di trasgredire ma che ancora stenta a capire quanto esso possa essere malvagio. L’accostamento di questi due personaggi, uno l’antitesi dell’altro, è il carburante per far funzionare il film. “Cape Fear”, seppur un titolo di tutto rispetto, non avrebbe lasciato un segno così profondo se Scorsese avesse scelto altri protagonisti. Il culmine del film lo si raggiunge in una scena ormai entrata nell’antologia scorsesiana, nel lungo dialogo tra Cady e Danielle in teatro, una scena statica che ha un forza tale da incollare allo schermo lo spettatore e raggiunge la punta del climax recitativo della coppia di attori, entrambi meritatamente nominati all’Oscar. Ma non è solo il cast a farsi notare nel film di Scorsese. A fare da contorno al girotondo di stelle non poteva mancare il montaggio di Thelma Schoonmaker, fedele collaboratrice del regista fin dai tempi di “Chi sta bussando alla mia porta?”, che diventa immediatamente un elemento necessario alla riuscita del film. Infatti esso dona al film un ritmo intenso che accompagna lo spettatore dall’inizio alla fine senza farlo annoiare. Tutto questo è farcito da una colonna sonora agghiacciante, ormai diventata celebre, altro pilastro portante del film. Il resto è un bell’esercizio di stile, che ha il difetto di esagerare un po’ troppo in alcune parti, soprattutto nel finale in cui De Niro sfiora l’onnipotenza. Ma forse il tutto è volutamente un’esagerazione, a partire dal corpo (esageratamente) tatuato di Max Cady che inneggia giustizia e la sua (esagerata) voglia di vendetta per aver trascorso anni in carcere. E come giustamente Cady dice in un’altra importante scena, “ Io sono simile a Dio e Dio è simile a me! Io sono grande quanto Dio, Egli è piccolo quanto me! Egli non può essere al di sopra di me, né io al di sotto di Lui!” Forse questo è sufficiente a giustificare l’amplificazione del finale.

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