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UN SON QUI DÉCHIRE

Sounds Like

2006 US
novembre 17, 2006

Depuis la mort de son fils, Larry Pierce, qui travaille en tant que superviseur d'une hotline téléphonique, est doté d'une ouïe exceptionnelle. Mais ce don très utile pour son travail lui cause de plus en plus d'intolérables douleurs.

Réalisateurs

Brad Anderson

Distribution

Chris Bauer, Laura Margolis, Nicholas Elia, Richard Kahan, Matty Finochio, Linnea Sharples, Blaine Anderson
Horror televisione film
HMDB

CRITIQUES (1)

RG

Roberto Giacomelli

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Larry Pearce lavora come capo centralinista, ha una bella casa in un quartiere residenziale e un udito fuori dal comune. Ma la vita di Larry è profondamente triste poiché ha perso suo figlio a causa di una malattia cardiaca, nello specifico Larry si sente in parte responsabile della morte del bambino poiché non è riuscito a sfruttare il suo “dono” sentendo per tempo il battito anomalo del cuore del figlio. Pian piano l’eccezionale udito di Larry comincia a diventare un peso per l’uomo che non riesce più a controllare la sua facoltà, ormai diventata insopportabile. “Masters of Horror” è un singolare progetto nato dalla mente di Mick Garris, regista noto in ambito horror soprattutto per le trasposizioni dei romanzi di Stephen King. Garris ha pensato di riunire i più rappresentativi registi di horror cinematografico in un progetto destinato alla tv via cavo Showtime e all’home video, il risultato è “Masters of Horror”, una serie di 13 mediometraggi da 60 minuti l’uno, ognuno diretto da un grande nome del cinema di genere; ogni episodio ha un budget di 1,8 milioni di dollari, la location fissata nella città canadese Vancouver ed è stata concessa la più totale libertà creativa ad ogni regista. I nomi coinvolti nella seconda stagione di questo progetto sono: Tobe Hooper, Dario Argento, Stuart Gordon, Joe Dante, John Carpenter, John Landis, Ernest Dickerson, Brand Anderson, Tom Holland, Peter Medak, Rob Schmidt, Norio Tsuruta e lo stesso Mick Garris. Al quarto episodio la seconda stagione di “Masters of Horror” fa cilecca. Per raccontarci l’ossessione di un uomo per la perdita del figlio viene chiamato a dirigere Bard Anderson, l’apprezzato regista dei validissimi thriller “Session 9” e “L’uomo senza sonno”. Anderson, sembrava l’uomo giusto per narrare per immagini l’ossessione, la paranoia e il dolore, eppure “Rumori e tenebre” non convince affatto, a partire dalla sceneggiatura firmata dallo stesso regista e tratta da un racconto di Mike O’Driscoll. Una storia fiacca, capace di annoiare profondamente malgrado l’esigua durata del tutto (i canonici 55 minuti) e priva di un reale mordente. “Rumori e tenebre” non da la possibilità di capire dove risieda il suo difetto principale, infatti non è ben chiaro che se il film stenti a partire oppure parta così tanto in fretta da sparare subito tutte le sue cartucce. Il potere di Larry è immotivato, un uomo che si pone a metà tra un x-man e il Lee Majors di “Un uomo da sei milioni di dollari”; possiede questo super udito che riesce a sfruttare a suo vantaggio ma che allo stesso tempo risulta una grave condanna. Vista la mancanza di logica nella sua proprietà lo spettatore è portato a pensare secondo il linguaggio della metafora, sicuramente consona ai canoni di Anderson. L’accentuazione del “sentire” connessa all’amplificarsi della follia del protagonista. Però il discorso metaforico appare comunque sfilacciato e poco raffinato, facendo pensare che forse questo non era neanche il vero obiettivo dell’autore, dal momento che questo “potere” rappresenta concretamente un elemento attante all’interno della narrazione: il rumore davvero infastidisce Larry, il suo udito davvero avrebbe potuto salvare il bambino, ecc.. Inoltre, come dicevo, la storia soffre moltissimo per la mancanza di un reale innesco, che si fatica a collocare in una posizione antecedente alla narrazione o altrimenti soffrirebbe di preoccupante tardività. Il televisivo Chris Bauer se la cava molto bene nel ruolo del tormentato protagonista e risulta sicuramente una delle migliori scelte dell’intero progetto, anche se c’è da dire che la scrittura del suo personaggio rimane fastidiosamente rarefatta, come tutto il resto. Finale molto telefonato dedito al grand guignol. Preferiamo ricordare Anderson per le sue belle prove cinematografiche e appare qui sicuramente confermata la perplessità di chi riteneva avventata la sua annessione ai “Masters of Horror”, in fin dei conti i suoi thriller hanno molto più del dramma umano che dell’horror tout court.