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Marco Castellini
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Oscure presenze a Cold Creek
Una normalissima famiglia americana decide di lasciare la città in cui vive per trasferirsi in campagna e sfuggire finalmente al caos ed allo stress quotidiano che i ritmi della società moderna gli impongono. E’ con questa speranza che Cooper Tilson e la moglie Leah acquistano, per pochissimi dollari ad un’asta giudiziaria, una vecchia villa immersa nel verde, luogo ideale dove far crescere serenamente i propri figli. Dopo aver ristrutturato la casa però, il precedente proprietario, un giovane appena uscito di prigione di nome Dale Massie, si presenta alla porta dei Tilson, offrendosi di lavorare per loro ed aiutarli a gestire la manutenzione della vecchia casa di famiglia, nella quale ha vissuto anche insieme alla moglie e ai suoi due bambini prima di essere arrestato. L’apparente gentilezza di Dale cambierà faccia molto presto, lasciando spazio a sentimenti di vendetta e di rivalsa verso le persone che si sono impossessate della sua abitazione: insospettito dal comportamento del giovane, Cooper inizierà ad indagare sul passato di Dale, arrivando a scoprire una sconcertante verità…
Complice anche l’infelice traduzione del titolo decisa da chissà quale furbissimo impiegato della Miramax, “Oscure Presenze a Cold Creek” si rivela senza mezze misure un subdolo tranello dal quale è quasi impossibile scappare. I primi a finire nella rete dell’inganno saranno sicuramente i fedelissimi appassionati di cinema dell’orrore i quali, attratti da un titolo quanto mai menzognero, penseranno di trovarsi di fronte ad un gustosissimo horror ambientato in una casa infestata da spettri, morti viventi o chissà cos’altro. Ma nel film non c’è assolutamente niente di paranormale!
Accettata l’idea di trovarsi di fronte ad un “semplice” thriller, le sorprese spiacevoli continueranno ugualmente: infatti anche coloro che si aspetteranno di assistere ad una storia agghiacciante e ricca di atmosfera, finiranno per rimanere molto, troppo delusi.
“Oscure Presenze a Cold Creek” è in sostanza un grande bluff.
La trama e la struttura del film lasciano allo spettatore più di una perplessità: le situazioni che si susseguono per tutta la durata della pellicola hanno un insistente sapore di “già visto” e di scontato, compresi i più che prevedibili colpi di scena. A rendere ancora più statica questa sterile sequenza di luoghi comuni del thriller moderno, contribuisce un ritmo lento e pesante, spesso privo del giusto mordente: le scene interessanti e con la giusta tensione sono nascoste in un mare di sequenze piatte e monotone, costruite sì per cercare di tratteggiare la psicologia dei protagonisti, ma di fatto troppo lente e poco dinamiche per catalizzare l’attenzione dello spettatore. Basti pensare che dopo mezz’ora di film non c’è ancora nessun elemento che faccia pensare di essere di fronte ad un thriller!
E quando l’intreccio sembra deciso ad evolversi e a regalare qualche emozione, la pellicola continua sulla strada della prevedibilità, il comportamento dei personaggi diventa un libro aperto per chiunque, e il sempre presente colpo di scena finale rivela la più ovvia delle ovvietà, peraltro già da molto tempo prevista anche dallo spettatore meno attento.
Cosa salva allora questo film dal peggiore dei voti?
Per prima cosa la presenza di un cast d’eccezione, pieno di attori hollywoodiani tanti cari al cinema moderno: Dennis Quaid interpreta il suo personaggio con discreta bravura, così come Stephen Dorff, perfettamente a suo agio nei panni del giovane cattivo. Anche le attrici non sono da meno: Juliette Lewis si conferma perfetta per interpretare la classica giovane americana svampita e un po’ sopra le righe (chi non la ricorda nel mitico “Dal Tramonto all’Alba”?) e Sharon Stone, sogno proibito di due generazioni di cinefili, riesce ancora ad abbagliare con la sua disarmante bellezza.
Altra nota positiva è la presenza dietro la macchina da presa dell’ottimo regista Mike Figgis, apprezzato in Italia per film come “Via da Las Vegas” e “Mr. Jones”, capace di impreziosire una trama banale con una regia brillante e sicura, con una scelta vincente di inquadrature, colori ed ambientazioni che permettono allo spettatore di gustare con sorprendente tranquillità un piatto che altrimenti risulterebbe indigesto.
“Oscure Presenze a Cold Creek” è un film tecnicamente di buon livello ma privo della giusta atmosfera e della giusta tensione che un buon thriller deve saper regalare.
Bello senz’anima.