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Alessandro Carrara
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Karen Davis, una studentessa americana di medicina, si trasferisce in Giappone per uno scambio scolastico. Una volta a Tokio, è chiamata a rimpiazzare un’infermiera che assiste a domicilio una donna anziana, molto malata, che è caduta in un profondo stato catatonico. La ragazza si reca quindi nella casa dell’anziana signora Emma, dove giace ovunque molto disordine. L’incubo ha inizio quando Karen ascolta degli inquietanti frastuoni provenire dal piano superiore e scorge delle strane impronte lasciate in casa da qualcuno che non c’è più…
Questo film non è solo il remake di un horror giapponese, è il quarto episodio di una lunga serie (che ha come argomento il “rancore”), diretta sempre dallo stesso regista Takashi Shimizu. Si tratta della versione americana di "Ju-On" (film TV giapponese) prodotta da Shimizu nel 2002 assieme al suo sequel, "Ju-On 2", per poi essere “remakerizzata” per il grande schermo nel 2003, ovviamente solo per il mercato occidentale e con più mezzi.
La pellicola ha scosso particolarmente l’attenzione del pubblico americano, tanto che l’incasso è stato assolutamente imprevedibile: nella prima settimana di proiezione sono stati registrati ai box office più di 40 milioni di dollari, mentre nel mese di dicembre la somma è notevolmente aumentata a circa 108 milioni di dollari.
Lo scopritore del film orientale è nientemeno che Sam Raimi, cineasta di grande valore, che ha incominciato la sua carriera con un’indimenticabile film horror, "The Evil Dead", che può vantare alcune analogie con "Ju-On" per via dell’ambientazione: una casa stregata.
I protagonisti di ”The Grudge” sono americani che più americani non si può, capitanati da Sarah Michelle Gellar, famosa protagonista del serial “Buffy” che ha imperversato nelle televisioni di tutto il mondo dal 1996 al 2003. La scelta di tale attrice è evidentemente un tentativo di lanciare il film fra i giovani occidentali. Molte discussioni sono state fatte riguardo la prestazione della Gellar, certamente una buona attrice televisiva ma nulla di più, definita da alcuni scandalosa. Non avendo visto la versione in lingua originale e sapendo quanto un doppiaggio può influenzare la percezione della recitazione sul pubblico italiano, è meglio soprassedere su questo argomento e focalizzarsi piuttosto sull’ambientazione ibrida del film: essendo la storia profondamente giapponese, un’operazione di trapianto completo nel continente americano alla “Ring” non era possibile, quindi si è scelta l’opzione “Erasmus”, contestualizzando la pellicola in un Giappone molto ben popolato da studenti di scambio, in questo caso di medicina, per armonizzarsi alla storia originale che prevedeva l’assistenza a una donna demente. A dire la verità, il numero elevato di studenti americani raggruppati in una cittadina giapponese di provincia è un po’ sospetta. Comunque l’operazione per certi versi ricrea l’atmosfera di isolamento interno vissuta da uno straniero in un paese a lui culturalmente lontano, in altri momenti è invece chiaro che si tratta di un artificio per permettere la narrazione dal punto di vista degli spettatori, che nei film originali non riescono ad immedesimarsi nei protagonisti giapponesi.
In effetti in questo film è molto facile intuire che i personaggi giapponesi sono purtroppo destinarti a perire prima degli americani, che cominciano ad essere colpiti dal “rancore” solo nella seconda parte del film, ad eccezione del commissario di polizia che intuisce la soluzione del problema ma che non la attua stupidamente.
Non è necessario dilungarsi sulla trama, virtualmente identica a "Ju-On", ma non si può fare a meno di sottolineare alcune incongruenze nel soggetto, che senza troppi spoiler consistono in una situazione non chiara del padre, che non si vede mai in qualità di “fantasma” pur essendo parte integrante anzi motore del dramma, ed il figlio che a volte appare come morto (con il trucco già apprezzato in "Ju-On") ma che in altri contesti appare incomprensibilmente come un bambino vivo ed assolutamente inoffensivo.
Una notevole particolarità del film è l’assenza concreta di una colonna sonora: ciò ha suscitato nel pubblico parecchio stupore, in quanto di rado si intravede un film senza musiche che facciano da sfondo.
Nonostante l’impegno generato dalla troupe, questo remake prodotto dal maestro dell’orrore Sam Raimi, non risulta affascinante e terrorizzante quanto l’originale giapponese. Da segnalare inoltre il volgare plagio della scena del cadavere con i capelli neri che si allungano sotto il sudario: scena presa pari pari da "Ring 2", del 1999.
Nel complesso comunque il film scorre bene ed offre allo spettatore novello una buona dose di tensione. Se invece la storia è già stata vista, rischia di sembrare noiosa, ripetitiva e patinata, come di solito succede a chi conosce gli originali giapponesi.
"The grudge 2" e "Ring 2" proudly made in America sono dietro l’angolo: staremo a vedere che risultato otterranno questi ennesimi remake tratti dai famosi cult Giapponesi.