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Roberto Giacomelli
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Le amiche trentenni Alyce e Carroll trascorrono una nottata all’insegna del divertimento che le porta in un locale notturno dove Carroll scopre che il suo ragazzo la tradisce. Stordita dall’alcool e infuriata, la donna decide di affogare il dispiacere nell’eroina e rende partecipe anche la sua amica Alyce. Le due, completamente fuori di testa, salgono sul tetto della palazzina in cui vive Alyce e accidentalmente Carroll precipita giù, rimanendo gravemente ferita. Alyce, che però la crede morta, decide di non rivelare a nessuno che anche lei quella notte si trovava sul tetto e mente alla polizia, ma quando viene a sapere che l’amica è ancora viva e potrebbe tornare presto a parlare malgrado la mascella fratturata, comincia a cadere in un turbine di paranoia che la porta a fare un uso sempre più massiccio di stupefacenti, fino a conseguenze terribili per lei e per chi la circonda.
Frustrazione, tossicodipendenza, perdita di controllo, vendetta. È questo il percorso che la protagonista di questo thriller/splatter segue nell’ora e mezza scarsa di durata, nella quale si nota uno squilibrio evidentissimo tra una prima parte ridondante e poco interessante e una seconda che è un vero e proprio delirio splatter.
Guardando “Alyce” si comprendono in modo piuttosto chiaro le intenzioni e l’iter che hanno portato il regista e sceneggiatore Jay Lee alla creazione del film. Lee, che alterna la sua attività in tv, nella musica e nel cinema horror con in curriculum il
divertente trash con Jenna Jameson “Zombie Strippers!”, ha un’idea lampante per “Alyce”: mostrare fino a che punto può spingersi l’aggressività repressa di una donna apparentemente mite e poco attraente, intrappolata in una vita ordinaria e noiosa, vessata da canonici episodi di bullissimo che coinvolgono datori di lavoro, affittuari ed esponenti del sesso maschile. Questo è il concept non troppo originale, ne geniale, su cui si basa l’autore, ma è lapalissiano che Lee abbia costruito i 90 minuti del suo film esclusivamente sull’ultimo quarto d’ora; cioè, è come se lui avesse ben chiaro in testa come far finire il suo film, ma non come intraprendere e costruire il percorso che avrebbe portato ad esso. E infatti il film prende l’argomento fin troppo alla larga, con eventi sconnessi che dovrebbero mostrarci l’iter psicologico che portano la protagonista alla follia, ma che non hanno un granché di senso logico, risultano ripetitivi, con azioni della donna spesso stupide e immotivate che non rendono un minimo credibile il percorso psicologico della protagonista. E stavolta non parliamo di puro entertainment in cui è forzato
trovare contenuti, perché è chiarissimo che Lee avesse voglia di costruire un qualche cosa che andasse oltre il semplice film di serie b per patiti dello splatter, solo che non ci è riuscito e ha dato il meglio di se proprio nel momento in cui deve gettare in faccia allo spettatore frattaglie e arti amputati.
Se nella maggior parte dei casi Alyce è descritta come la classica donna acqua e sapone che vorrebbe riscatto da una vita che non è stata particolarmente generosa con lei, risultando un po’ banale e comunque molto standardizzata, in altri si intravedono interessanti sprazzi caratteriali che sarebbe stato curioso approfondire. Tra Alyce e Carroll si intuisce un certo feeling sessuale che potrebbe far pensare alla bisessualità della protagonista, ma questo elemento introdotto all’inizio del film viene poi completamente abbandonato, così come sono descritti con troppa approssimazione i rapporti di amore/odio/amicizia tra gli altri personaggi con la protagonista, a cominciare dal James Duval di “Donnie Darko”, che qui interpreta Vince, ex ragazzo di Carroll. Invece il regista insiste molto, anzi
troppo, sul processo da novella tossica di Alyce che appare abbastanza immotivato e superficiale se l’intenzione era quella di fornire una giustificazione alla progressiva follia della donna.
Come si diceva, la parte migliore del film è l’epilogo, dove Alyce, ormai completamente fuori controllo, mette in atto una serie di sanguinose vendette. Per lo più senza un vero motivo, ma comunque la furia vendicativa di Alyce offre dei momenti davvero forti e deliranti, che raggiungono apici di violenza estrema sicuramente notevoli per i patiti dello splatter.
Una menzione d’onore all’attrice protagonista Jade Dornfeld, che malgrado debba dare corpo a un personaggio mal scritto, risulta convincente e davvero molto brava, caricando sulle sue esile spalle tutto il peso di un film un po’ troppo schizofrenico.
“Alyce” colpirà sicuramente per l’epilogo ultra-violento, ma la fondamentale componente psicologica lascia decisamente a desiderare.
In DVD italiano da One Movie e 01 Distribution.