Baby Blues backdrop
Baby Blues poster

BABY BLUES

2008 US
août 5, 2008

Les Williams sont les membres d’une famille pieuse du sud des Etats-Unis. Le couple, dont le mari est chauffeur de poids lourds, élève leurs quatre enfants dans une ferme assez isolée. Mais les choses sont difficiles depuis la naissance de la petite dernière, Mme Williams souffrant d’un post-partum blues à l’origine d’une grande tristesse. Alors que le père de famille quitte la maison pour une nouvelle livraison, Jimmy, l’aîné des enfants, lui livre ses inquiétudes quant à certains comportements de sa mère.

Réalisateurs

Lars Jacobson, Amardeep Kaleka

Distribution

Colleen Porch, Aiden Kersh, Ridge Canipe, Sean Johnson, Holden Thomas Maynard, Kali Majors, Joel Bryant, Gene Witham
Dramma Horror Thriller
HMDB

CRITIQUES (1)

RG

Roberto Giacomelli

skull skull skull empty skull empty skull
In una fattoria nel profondo sud degli Stati Uniti, una giovane madre comincia a manifestare pericolosi sintomi di depressione post parto a pochi giorni dalla nascita del suo quarto figlio. Il primo ad intuire i problemi della donna è James, il suo figlio maggiore. Durante una notte, mentre il marito è fuori casa per lavoro, la donna impazzisce completamente e dopo aver ucciso il neonato, comincia a dare la caccia agli altri figli. In psicoanalisi il termine "baby blues" è usato per indicare il primo stadio di una forma depressiva che si manifesta nelle neomamme nei giorni successivi al parto. Il baby blues è frequentissimo (si parla del 50-80% delle mamme), ha una durata transitoria di pochi giorni e si manifesta con semplici sintomi che comprendono tristezza, ansia e generale umore instabile. Normale routine, insomma, che in alcuni casi può svilupparsi in depressione post-parto o addirittura in psicosi post-parto, che è una vera e propria patologia. Beffardamente i registi Lars Jacobson e Amardeep Kaleka utilizzano nel titolo del loro film proprio la forma più lieve, comune, se vogliamo, quasi normale dei disturbi successivi al parto per mettere in scena invece una storia tremenda in cui una mamma stermina sadicamente la propria prole. Psichiatricamente parlando, siamo più dalle parti della Sindrome di Medea che nel baby blues, dunque, con la variante che la Sindrome di Medea - che prende il nome dalla tragedia di Euripide - prevede che il vero bersaglio della mamma assassina sia il padre dei bambini, punito con la morte dei suoi figli. Il che, volendo, ci potrebbe anche stare nel film di Jacobson e Kaleka, visto che il padre di famiglia viene descritto come un uomo assente, costretto a star lontano da casa lungamente per lavoro anche dietro le richieste di vicinanza di moglie e figli. Forse però i riferimenti alla psicoanalisi sono fuorvianti per un film come “Baby Blues”, chiaramente votato all'intrattenimento più viscerale. Di base Jacobson e Kaleka hanno costruito uno slasher, con tanto di boogeyman (anzi, boogeywoman!) che agisce con arma bianca e vittime sacrificali che fanno il gioco del gatto col topo, solo che il "mostro" è una giovane madre e le vittime i suoi bambini. Moralmente parlando, i due registi hanno fatto un film tremendo capace di infrangere uno degli ultimi tabù rimasti in quel di Hollywood, ma affrontando il discorso sotto un punto di vista meramente cinematografico, “Baby Blues” non è solo un pugno nello stomaco ma anche un film avvincente e dal ritmo serratissimo. Il pregio maggiore di questo film, infatti, non risiede tanto nella tematica audace e coraggiosa, quanto nella perfetta gestione dei ritmi narrativi che mostrano una incredibile dimestichezza con i linguaggi dell'horror. Lars Jacobson (anche sceneggiatore) è un esordiente assoluto, mentre Amardeep Kaleka aveva diretto alcuni corti, fatto sta che malgrado l'inesperienza, i due registi si mostrano decisamente capaci di gestire un film che punti tanto sulle efferatezze quanto sulla costruzione della suspense. Di tanto in tanto si nota qualche incertezza soprattutto a livello di scrittura, in cui si può percepire la difficoltà di far combaciare lo spirito camp dell’opera con la tematica delicata, con il risultato che spesso e volentieri è il primo elemento a prevalere, come per l’utilizzo di alcune frasi messe in bocca alla “killer mom” tipicamente da film di genere di bassa lega. L’aspetto generale dell’opera tende però a camuffare la sua nazionalità statunitense, apparendo molto influenzato dalla new wave europea, in particolare francese, alla quale è assimilabile sia per il tema duro affrontato che per il grado di violenza bruta di cui il film è infarcito. Pochissimi minuti di preparazione per la presentazione dei personaggi e poi si piomba subito nell'incubo. Quattro ostacoli rappresentati dai quattro bambini (di cui uno appena nato) da superare per ricongiungersi a una utopistica serenità: è questo l'obiettivo della giovane madre che si vede improvvisamente privata dei suoi sogni e delle sue ambizioni (è una conduttrice meteo). Quando facciamo conoscenza con la donna lei è già sprofondata nella follia, una Jack Torrace al femminile (e in almeno una scena “Shining” è citato esplicitamente) che ha deliri mistici e la cui follia è amplificata dal caldo estivo e dai pianti incessanti del suo bambino. E i due registi non si fanno molti scrupoli, mostrando il massacro con rara crudezza in cui i pargoli vengono annegati, pugnalati con il manico di uno specchio, infilzati con forconi, presi a fucilate, coltellate, accettate e perfino inseguiti con la mietitrebbiatrice. Ecco, magari in alcuni casi Jacobson e Kaleka sono anche eccessivi riuscendo almeno una volta (la suddetta mietitrebbia) a far risultare il film involontariamente ridicolo, ma giunti a quel punto lo spettatore è sicuramente assuefatto dalla vicenda, tanto da riuscire a sorvolare con ogni probabilità anche sulle scene più assurde. Quasi stupisce l’irresponsabilità da film di genere con cui il duo riesce a gestire una vicenda così seria e tragica, ci si sente quasi colpevoli, complici della madre, mentre si guarda il film, come se ci si vergognasse ad ammettere a se stessi che ci si sta divertendo. Tutto ciò però contribuisce a dimostrare la riuscita dell’opera. Buono il lavoro sul casting con una adeguata mamma assassina interpretata dalla Colleen Porch di “Starship Troopers 2” e “Transformers” e il giovanissimo Ridge Canipe del serial tv “Supernatural” a darle filo da torcere. Nel Stati Uniti “Baby Blues” è uscito in sordina e inaspettatamente senza far scandalo, anzi con giudizi della critica piuttosto freddi. Nel resto del mondo è stato distribuito direttamente in home video, rimanendo tutt’ora inedito in Italia.

Bande-annonce