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Roberto Giacomelli
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Tre amici decidono di concedersi un week-end di fine estate insieme prima di separarsi per il college e si dirigono in Messico, luogo in cui il sesso e la droga appaiono particolarmente alla portata di tutti. Infatti, stando alle repentine conquiste e allo sballo da funghetti, la scelta sembra essere stata azzeccata, solo che Phil, il più ingenuo del terzetto, viene adescato e rapito da una banda di narcotrafficanti dediti a una forma estrema della Santeria, un particolare culto che prevede l’uso della magia nera e dei sacrifici umani per riti propiziatori. I due amici, con l’aiuto di Valeria, una ragazza conosciuta in uno strip bar, e Ulises, un poliziotto che si è già scontrato con gli adepti, tenteranno di salvare Phil dal suo tragico destino.
Quel minifilone di film horror che descrive le disavventure di giovani turisti americani in luoghi apparentemente da sogno ma in realtà gremiti di mortali ostilità si arricchisce di un nuovo titolo, “Borderland – Linea di confine”. Questo filone sembra avere le radici più stabili negli anni ’70 con esempi di grandissima qualità come il bellissimo ma poco conosciuto “Il mostro della strada di campagna” che narrava del viaggio da incubo di due studentesse americane nelle campagne francesi, fino ad arrivare a oggi e a una rinnovata voglia di raccontare storie che accostano il turismo giovanile con l’orrore. Si possono facilmente citare diversi titoli, di qualità o meno, come i due “Hostel”, “Turistas”, “Wolf Creek”, “Rovine”, “Pasto umano” e l’imminente “And Soon the Darkness” che chiuderebbe un ipotetico cerchio, visto che nasce come remake proprio di “Il mostro della strada di campagna”. “Borderland” entra di diritto in questa categoria immergendo in una location messicana utopizzata come paradisiaca tre studenti americani vogliosi dei classici due desideri che il cinema pone tra le priorità di ogni giovane yankee: sesso e droga. Ovviamente
l’iniziale godimento è immediatamente seguito da orrori inenarrabili, efficacemente anticipati nel lungo e impressionante prologo, che stavolta si spostano sul versante magia nera.
Ci sarebbe molto da teorizzare riguardo questa rinata (ma in fin dei conti non si è mai veramente estinta) tendenza del cinema horror americano nel catalizzare l’orrore al di fuori dei confini nazionali, mostrando come il Paese multietnico per eccellenza riesca a rappresentare con piglio quasi xenofobo l’ignoto che si nasconde al di là della linea di confine. Sono questi gli anni degli ostaggi americani in Medio Oriente e della paura per il terrorismo internazionale, della cronaca da turismo sessuale e dell’orrore che si nasconde sotto le mentite spoglie della quotidianità altra e che sorprende senza preavviso. Naturalmente il cinema di genere ama vittimizzare, tormentare, straziare e uccidere giovani vogliosi di eccesso, sempre per quell’ormai caratteristico piglio moralistico che è diventato caratteristica imprescindibile del genere, indifferentemente dal filone con il quale si ha a che fare. Da questi ingredienti, che sicuramente hanno una base socio-culturale adattata ai tempi che corrono, si sviluppa così questo interessante micro genere che spesso attinge proprio dalla vera cronaca nera per
spaventare gli spettatori.
Infatti proprio da una storia vera nasce questo “Borderland”, pellicola reduce dall’edizione 2007 dell’After Dark Horrorfest, che prende le mosse da una vicenda che nel 1989 vide protagonista una setta capeggiata da Adolfo De Jesùs Costanzo, un criminale a capo di un grosso giro di droga a Matamoros e che si era creato un piccolo impero plagiando le menti dei suoi adepti, spinti ad eseguire dei periodici rituali a base di sacrifici umani per garantire il loro successo. Fu solo in seguito alla sparizione di un giovane turista americano che la polizia sgominò e portò al suicidio Costanzo. Inoltre in uno dei controlli che la polizia stava svolgendo in quell’occasione alla frontiera con gli Stati Uniti fu coinvolto anche Zev Berman, proprio il regista di “Borderland”, che è stato quindi testimone indiretto della vicenda che ha ora voluto raccontare al pubblico.
“Borderland” si presenta molto bene: formalmente impeccabile, buon ritmo e soprattutto ha la capacità di non scadere mai nel banale e nella facile scopiazzatura malgrado il soggetto lo
avrebbe facilmente consentito. I personaggi che affollano questo film, infatti, sono quanto di più già visto si possa immaginare, dal giovane donnaiolo e scapestrato a quello timido, sensibile e con valori cristiani, ma sorprendentemente lo script dello stesso Berman, in collaborazione con Eric Poppen, riesce a rendere più umani e credibili tutti gli stereotipi che affollano il film, forse con le uniche eccezioni del poliziotto vendicativo, troppo poco approfondito, e del leader della setta Santillan, poco carismatico per il ruolo rilevante che ha. Perciò non avremo i soliti personaggi stupidi che spesso affollano questi film e della cui sorte non interessa allo spettatore, bensì dei personaggi ben sviluppati che riescono a far affezionare a loro chi sta seguendo la vicenda.
L’iniziale evidente accondiscendenza verso il prototipo “Hostel” va fortunatamente presto a smorzarsi e “Borderland” assume così una propria identità che riesce perfino a risultare originale, soprattutto in merito alla minaccia che aleggia sull’intreccio, già perché dei narcos con l’abitudine per i sacrifici umani rituali non è cosa che si vede tutti i giorni in un film e Berman riesce anche a sfruttare l’idea a dovere in modo diretto incentrando su di essa l’intera vicenda
senza sottostorie che possano deviare l’attenzione.
Ottima la fotografia di Scott Kevan, che predilige colori caldi e denaturati così da valorizzare i già suggestivi paesaggi messicani. Soddisfacente anche il reparto “efferatezze”, non troppo esagerato in sangue e frattaglie bensì orientato verso un efficace realismo che riesce a risultare impressionante.
Il cast è composto per lo più da volti televisivi più qualche viso noto come Sean Astin (l’hobbit “grasso” della trilogia “Il Signore degli Anelli” nonché protagonista del cult “I Goonies”) impegnato in un inedito ruolo da cattivo.
“Borderland” è dunque un film da recuperare, capace di trattare con un piglio di originalità un tema ampiamente abusato negli ultimi anni come quello del “turismo horror”, qui mescolato con il satanismo e un pizzico di torture porn (che vende sempre bene).
Superiore a quello che ci si potrebbe aspettare leggendo la trama.
Visiona il trailer di BOREDERLAND - LINEA DI CONFINE