Horsemen backdrop
Horsemen poster

HORSEMEN

2009 CA
February 6, 2009

A recently widowed detective still grieving over his wife's death discovers a shocking connection between himself and the suspects in a serial killing spree linked to the Four Horsemen of the Apocalypse.

Directors

Jonas Åkerlund

Cast

Dennis Quaid, Zhang Ziyi, Lou Taylor Pucci, Clifton Collins Jr., Barry Shabaka Henley, Patrick Fugit, Eric Balfour, Paul Dooley, Liam James, Chelcie Ross
Drama Horror Thriller Crime Mystery
HMDB

REVIEWS (1)

RG

Roberto Giacomelli

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Il detective Aidan Breslin, specializzato in odontologia forense, è chiamato sul luogo del ritrovamento di un vassoio contenete dei denti umani: ai quattro angoli del sito è stata scritta la frase “vieni e vedi”. Ben presto però arriva anche un cadavere, una madre di famiglia ritrovata appesa a dei ganci dentro la sua stessa abitazione e affiancata anch’essa dalla stessa frase. Il detective scopre che “vieni e vedi” è un frase contenuta nel libro della Rivelazione, facente riferimento ai Quattro Cavalieri dell’Apocalisse. Ma i morti aumentano e un’insospettabile colpevole si appresta a contattare Breslin per confessare il suo coinvolgimento nella vicenda. Se esistesse un premio come “occasione mancata dell’anno” “The Horsemen” dovrebbe assolutamente vincerlo. Avere tra le mani una storia che sa fare degli stereotipi del genere thriller il suo punto di forza non è cosa da poco, ma mandare tutto a monte con una serie di errori imperdonabili è assai grave. “The Horsemen” (a proposito, che brutto titolo! Una volta tanto sarebbe stato il caso di trovarne uno nuovo per la distribuzione italiana…) non è di certo quello che può essere definito un prodotto innovativo e originale, anzi, il giovane Dave Callahm (“Doom”) scrive una sceneggiatura che ce la mette davvero tutta ad abbracciare tutti i possibili cliché del thriller americano, spaziando con sprezzante nonchalance dal prototipo del poliziotto stakanovista che trascura i figli e ha un trauma alle spalle, alla simbologia religiosa per un criterio criminale, passando per la messa in scena di torture sadiche come va tanto di moda negli ultimi tempi. Ma possiamo fare una colpa a Callahm per il solo fatto di essere l’ultimo arrivato nella stesura di uno script che ormai lì ad Hollywood è consuetudine passarselo come si farebbe con uno spinello? Certamente no, anche perché almeno qui c’è il pregio si saper riutilizzare con cognizione di causa questi cliché: la situazione personale stereotipata del detective stavolta ha il suo perché all’interno dell’evoluzione narrativa, la simbologia dei Quattro Cavalieri viene utilizzata in modo piuttosto accattivate, le torture per “sospensione” rappresentano il necessario elemento “cool” e disturbante della vicenda. Purtroppo però il non indifferente pregio di riuscire a cavare sangue dalle rape è affossato da una serie di macroscopici difetti realmente difficili da accettare e comprendere. Innanzitutto la sceneggiatura presenta dei buchi pari al Gran Canyon che fanno sorgere il dubbio che si sia tagliato qualche elemento importante per la theatrical version, soprattutto considerando il finale assolutamente improbabile e per molti versi illogico per una miriade di piccoli e grandi dettagli. Lo stesso finale pecca di eccessivi picchi di sentimentalismo fuori luogo che farebbero sentire in imbarazzo perfino il più accanito fan di Shirley Temple. Altra pecca non trascurabile è l’assoluta mancanza di carisma che contraddistingue qualunque personaggio che non sia lo stereotipato (ma necessario) detective. Il collega di Breslin, interpretato da un Clifton Collins Jr. (“Nella mente del serial killer”) acconciato come uno spacciatore messicano, è fuori luogo in ogni scena in cui appare e non ha praticamente personalità, così come l’inutile Eric Balfour (“Non aprite quella porta”; “The Spirit”) nei panni del fratello omofobo di uno dei Cavalieri, per non parlare di Peter Stormare (“Bruiser”; “8mm: Delitto a luci rosse”) messo ad interpretare una particina probabilmente solo perché passava un giorno di lì a salutare il suo amico Michael Bay (qui produttore con la sua Platinum Dunes). Perfino due personaggi chiave come quelli interpretati dallo scialbo Patrick Fugit (“Saved!”; “Quasi famosi”) e dalla brava Ziyi Zhang (“Memorie di una Geisha”) appaiono poco credibili ed eccessivamente approssimativi. L’idea di utilizzare il mito dei Quattro Cavalieri dell’Apocalisse inserendolo nella realtà odierna del disagio giovanile tecno-veicolato è senza dubbio una buona trovata, così come è apprezzabile il lavoro di fotografia (opera di Eric Broms) che tende a legare luoghi e situazioni con i colori che appartengono alla mitologia dei Cavalieri. Va spezzata una lancia a favore anche del sempre bravo Dennis Quaid che in pratica riesce a reggere la baracca quasi esclusivamente sulle proprie spalle. Alla regia lo svedese Jonas Akerlund, lodato autore di videoclip e del film scandalo “Spun”, che dirige “The Horsemen” con impeccabile eleganza ma anche con tanto anonimato da renderlo assimilabile a molti altri thriller produttivamente rilevanti apparsi negli ultimi 15 anni ad Hollywood e dintorni. Tanti, troppi, difetti in un film che avrebbe meritato maggiore attenzione soprattutto in fase di sceneggiatura (e montaggio?). Sicuramente guardabile per gli irriducibili del thriller a tinte forti, ma il mercato offre anche opere di tutt’altra caratura, dunque perché correre dietro a robetta come “The Horsmen”?