RG
Roberto Giacomelli
•
Nel 2008 un virus mortale si diffonde a Glasgow e ne decima la popolazione. Il governo prende una decisione drastica e costruisce un muro di recinzione attorno alla città per contenere il virus e non permettere al contagio di diffondersi nel resto della Gran Bretagna.
Venticinque anni dopo il virus ricompare al di là della barricata e minaccia nuovamente un contagio su scala mondiale. Il primo ministro inglese organizza allora una squadra scelta, composta da soldati e scienziati, con il compito di penetrare a Glasgow e rintracciare il dottor Kane, uno scienziato rimasto intrappolato nel primo luogo del contagio e che si presume stesse lavorando su una cura al virus. Il team è capitanato da Eden Sinclair, una donna d’azione che proprio a Glasgow ha le proprie origini; ma il compito del team non sarà molto semplice poiché al di là della barricata i sopravvissuti hanno fondato una nuova civiltà regredita ad una condizione punk-medioevale in cui chiunque venga da “fuori” è considerato un nemico da catturare, cucinare e mangiare!
Se il “Grindhouse” di Tarantino e Rodriguez fosse stato composto da tre film, il trittico sarebbe stato sicuramente completato da “Doomsday”. Neil Marshall, infatti, nel suo terzo film, mette in atto un’operazione non dissimile da quella che ha coinvolto i registi di “A prova di morte” e “Planet Terror” e realizza un gustoso, adrenalinico e geniale omaggio al mitico cinema d’azione post-apocalittica anni ’80.
Tutto comincia con un virus, battezzato minacciosamente “Reaper”, mietitore, che trasforma i contraenti in esseri pustolosi, barcollanti e feroci assimilabili agli infetti di “Planet Terror” che derivavano direttamente dai b-movies italiani dei primi anni ’80. Dopo il necessario prologo
ambientato nel 2008, Marshall si getta a capofitto nella costruzione di un plot che cuce insieme le situazioni topiche del cinema di quel periodo, e così si parte immediatamente con “1997: Fuga da New York”, capolavoro carpenteriano, da cui viene recuperato l’innesco dell’azione, alcuni soluzioni narrative (la mappa computerizzata con la quale la voce narrante mostra allo spettatore il punto della situazione) e il personaggio principale, Eden Sinclair. Già perché il Maggiore Sinclair, interpretata da un’affascinante e ironica Rhona Mitra (“Highwayman”; “Skinwalkers”), non è altro che la versione femminile di Jena Plissken, una donna “tosta” e cinica, priva dell’occhio destro e alla costante ricerca di una sigaretta; una cowgirl solitaria arruolata a combattere una guerra che non le appartiene. In seguito “Doomsday” diventa rispettivamente “Aliens – Scontro finale”, ancora “Fuga da New York”, “I guerrieri della notte”, “Interceptor – Il guerriero della strada” e chissà quant’altro (non a caso due dei personaggi si chiamano Carpenter e Miller), un enorme divertito e divertente collage di tutto ciò che oggi è giustamente oggetto di culto cinematografico.
Qualcuno però ha malignamente insinuato che dietro questo enorme mosaico si nasconde solo mancanza di idee e vuoto narrativo (così come era stato detto dei due episodi si “Grindhouse”); certo, abusare della formula adottata da Marshall (così come da Tarantino e Rodriguez) potrebbe essere davvero un facile escamotage cinematografico per raccontare una storia già raccontata, ma finché i casi sono isolati e rappresentano un dichiarato atto d’amore a un magnifico cinema che fu, questi prodotti non possono che essere apprezzati da coloro che hanno un minimo di memoria cinematografica e una passione per quelle pellicole. Marshall realizza così un film che si trova completamente al di fuori del tempo, una pellicola anti-modaiola che in certo senso ricorda anche il dittico sulla famiglia Firefly (“La casa dei 1000 corpi” e “La casa del diavolo”) diretto da Rob Zombie per lo spudorato modo con cui si pone controcorrente. Marshall è stato coraggioso: ha diretto un film che con ogni
probabilità non sarebbe piaciuto al pubblico mainstream (e infatti “Doomsday” è stato un flop al botteghino), ma ha diretto un film che piaceva a lui, un prodotto che manifestasse apertamente la sua passione per il cinema e la sua cultura cinematografica.
Ma è riduttivo parlare di “Doomsday” solo in termini di citazione/omaggio, “Doomsday” è comunque un magnifico fanta-action che intrattiene con tamarra intelligenza lo spettatore, un film d’azione con scene adrenaliniche, feroci combattimenti, bizzarrie varie e lunghi e bellissimi inseguimenti a piedi, in auto e in moto. L’unico neo che si può notare in una storia altrimenti del tutto fluida è la breve parentesi medioevale centrale, in sintonia con l’operazione citazionistica, ma decisamente stonata all’intero della storia. L’intento del regista era di omaggiare il cinema di cavalieri e neo-peplum di quegli anni, inserendo nella storia un novello capitano Kurtz (lo stesso Marshall dice di essersi ispirato all’ “Apocalypse Now” di Coppola per la figura di Kane), impersonato da un Malcom McDowell (“Arancia Meccanica”; “Halloween – The Beginning”)
uomo di scienza che si è convertito all’oscurantismo della ragione, ma quel frangente era comunque evitabile. Le scene che riguardano i neo-punk sono tra le migliori viste nel cinema d’azione degli ultimi anni, spettacolari e violentissime, ben coreografate e ironiche.
Marshall, inoltre, non si smentisce e riempie il film di scene splatter che faranno la felicità di chi aveva apprezzato gli eccessi emoglobinici dei suoi precedenti due film, “Dog Soldiers” e “The Descent”. Insomma, Neal Marshall ha sparato tre cartucce e ha fatto tre centri dimostrandosi (anzi confermandosi) uno dei registi più versatili e interessanti dell’odierno cinema di genere.
E voi detrattori del cinema citazionistico ricordate che “copiare” da un solo film vuol dire fare un plagio, ma “copiare” da tanti film significa aver fatto una ricerca!