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Roberto Giacomelli
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Intrappolati sul tetto di un edificio proprio mentre i mostri stanno per irrompere, i protagonisti della precedente avventura riescono a fronteggiare la minaccia e rifugiarsi nella prigione dove è rinchiuso Hobo, zio di Bozo, ovvero il tizio responsabile della morte della sorella di Biker Queen. Ma le mura di quello che era considerato l’edificio più sicuro della città non contengono a lungo l’assalto dei mostri e i protagonisti, dopo essere stati salvati da un Profeta, andranno a rifugiarsi nelle fogne.
Realizzato in concomitanza con il secondo capitolo, con il quale rappresenta un tutt’uno, “Feast III – The Happy Finish” è la conclusione della trilogia splatter-grottesca iniziata nel 2005 come esperimento e diventata una saga cult tra gli appassionati del genere. La squadra è la medesima dei film precedenti: John Gulager in cabina di regia, Patrick Melton e Marcus Dunstan allo script e attori provenienti dal primo e, soprattutto, dal secondo film. Il risultato finale non si discosta molto da quello di “Feast II”, ovvero trivialità e volgarità gratuite, splatter e scene disgustose con l’aggiunta di un tocco di demenzialità.
“Feast III” ha un grande difetto: appare semplicemente come un finale “tirato per le lunghe” di “Feast II”, un’appendice che deve trarre le conclusioni non sapendo assolutamente dove andare a parare. Questa sensazione è data principalmente dal fatto che “Feast II” non aveva conclusone e “Feast
III” non ha inizio, sono due parti di un’unica opera, e lo si vede non solo dalla continuità narrativa, ma anche dallo stile praticamente identico; e questo non è un dato da dare per scontato visto che il team è il medesimo, dal momento che questi due film si discostano in modo sostanziale – per resa e per intenti – dal primo bellissimo film. Inoltre questo terzo episodio dura molto poco, 75 minuti circa, ma escludendo il lungo riassunto della puntata precedente posto in testa e il finale che si prolunga durante tutti i titoli di coda, abbiamo un film che dura in effetti poco più di un’ora, il che ci fa pensare che o hanno fatto malamente la ripartizione tra le due parti o, in effetti, questo “Feast III” è solamente un brodo allungato.
Il livello di volgarità e disgusto rimane piuttosto alto e la sola scena iniziale in cui un mostro stacca di netto la testa di un personaggio, la mangia e subito dopo la evacua con m.d.p. attenta al “dettaglio” ne è un chiaro messaggio d’intenti. Fortunatamente, però, ci si concede allo splatter vero e proprio in modo più deciso in confronto al capitolo precedente, con morti più varie e sanguinose. A ciò va aggiunto il solito stuolo di scene immediatamente cult, come lo stupro anale e conseguente parto di uno dei personaggi e,
soprattutto, il tentativo di cauterizzazione di una ferita eseguito, a detta dello stesso personaggio, a la “Rambo”. Inoltre Gulager deve aver capito il passo falso nell’ambientare “Feast II” alla luce del sole e in troppe locations differenti, così torna sui suoi passi e circoscrive l’azione di “Feast III” quasi esclusivamente al buio e in un unico luogo (le fogne della città); così facendo, tra l’altro, si ha la possibilità di lasciare in ombra il più possibile le creature e quindi farle apparire più minacciose agli occhi dello spettatore… per quanto questo sia ormai possibile vista la piega presa.
Come al solito John Gulager si mostra decisamente in gamba dietro la macchina da presa, sempre attento all’inquadratura giusta e alla soluzione visiva originale. Se da una parte in questo film viene introdotto l’espediente della visione notturna per le scene più buie (stile “The Descent”), dall’altra abbiamo la pessima trovata di utilizzare per una lunga sequenza – che tra l’altro sarebbe il duello finale – un’insopportabile effetto luce a intermittenza che mette a dura prova la pazienza dello spettatore non facendogli praticamente capire nulla di quello che accade sullo schermo.
I personaggi che affollano “Feast III” sono quelli già apparsi nei capitoli precedenti, con l’aggiunta di tre new entries che sarebbe stato piacevole vedere in azione per maggior tempo, vista comunque la loro bizzarra simpatia. Si tratta di un macho
cowboy che sembra avere soluzione a tutto, un profeta con la facoltà di tenere lontani i mostri e un esperto di arti marziali dall’esplicativo nome di Jean-Claude Seagal.
Ci sarebbe qualche parola da spendere a proposito del finale, ma, per non rovinate la sorpresa, forse è meglio limitarsi a dire che rappresenta un effetto boomerang per il film. Sicuramente manderà in un brodo di giuggiole chi ha apprezzato la vena ironico-demenziale di grana grossa acquistata con il secondo film, ma probabilmente potrebbe risultare irritante per tutti gli altri. E’ evidente che così facendo si rimarca la completa follia e anarchia che risiede dietro questi due sequel, ma è anche vero che il tutto assume con maggior forza una chiara (e per certi versi fastidiosa) presa per i fondello dello spettatore.
“Feast III” non è, dunque, ne più ne meno ciò che era già stato “Feast II”, intrattenimento sopra le righe per patiti dello splatter, un divertente e sciocco pastiche che a volte sottolinea i difetti del capitolo che l’ha preceduto, a volte li corregge e altre ne aggiunge di nuovi.
Ma il primo “Feast” era davvero tutt’altra cosa.