La storia provocatoria e drammatica di un uomo di trentadue anni che accoglie a casa una quattordicenne conosciuta su internet, con conseguenze sorprendenti. Jeff è un fotografo trentenne. Hayley una ragazzina di quattordici anni ma molto, molto più sveglia di quanto la sua età potrebbe far credere. I due, dopo lunghe sessioni di chat in internet decidono di incontrarsi. Dopo un drink e una fetta di torta si recano a casa di Jeff, ma quella che poteva diventare una giornata allegra e piacevole si trasforma per il fotografo in un incubo senza fine... Inquietante e teso, Hard Candy rovescia la favola di Cappuccetto Rosso: stavolta a subire è il lupo, mentre la potenziale vittima si palesa come il più feroce dei carnefici. Tanta la carne al fuoco in questo splendido thriller che procede di minuto in minuto come un equilibrista in bilico sul filo che rischia di cadere a ogni istante.
La quattordicenne Hayley conosce su una chat il trentenne Jeff. I due decidono un giorno di incontrarsi e Hayley va a casa di Jeff. Tra i due si istaura subito un ottimo feeling: la ragazzina sembra essere molto più matura della sua effettiva età e Jeff, con i suoi modi gentili e affabili, riesce a mettere a proprio agio chiunque. Ma l’incontro tra i due forse non è stato casuale e nessuno è quello che in realtà sembra.
David Salde con soli due lungometraggi all’attivo ha già dimostrato di avere un grandissimo talento. Prima del vampiresco “30 Giorni di buio”, infatti, Slade ha firmato la regia di uno dei più riusciti thriller degli ultimi anni, “Hard Candy”.
“Hard Candy” è un film sorprendente per il modo con cui riesce a intrattenere lo spettatore per 100 minuti senza che in realtà succeda molto: ci sono due attori, una location e una serie infinita di dialoghi. Tutto qui. Eppure il risultato è davvero ottimo; questo a chiarificazione che non sono budget elevati e nomi di particolare richiamo a fare di un film un ottimo film, bensì una bella idea, una solida regia, una sceneggiatura avvincente e degli attori con gli attributi. Naturalmente il film di Slade ha tutto questo.
Il soggetto del film è semplicemente geniale ed è esplicato a dovere dall’efficace locandina del film: una ragazzina, novella cappuccetto rosso, si trova nel bel mezzo di una trappola per orsi escogitata dal lupo cattivo. Ma cappuccetto rosso è mostrata di spalle, segnale di diffidenza, e cela il suo volto misterioso dietro il copricapo, infatti, con tutta probabilità, dietro quel
cappuccio scarlatto non c’è una ragazzina indifesa che ha smarrito la strada, ma la sua è solamente una copertura, una maschera. Il sociologo canadese Erving Goffman formulò una teoria secondo la quale la vita quotidiana può essere paragonata ad una rappresentazione teatrale e l’individuo (che lui denominava “attore sociale”) è chiamato a interpretare le parti che la società, in generale, e la situazione, in particolare, richiedono. Slade non fa altro che affermare e negare allo stesso tempo questa teoria, portando sulla scena la tipica situazione “da camera”, un allestimento scenico e una costruzione narrativa che ha molto del teatrale, trasformando in effetti la vita dei suoi personaggi in una rappresentazione scenica. Lo stesso primo impatto che i personaggi hanno sullo spettatore è quello che lo spettatore si aspetterebbe: ragazzina emancipata e intelligente lei (ascolta John Meyer, adora i film dei Monty Python), uomo moderno e responsabile lui (crede che i rapporti nati su internet siano più genuini, fa il fotografo). Ma la sceneggiatura si diverte ad infrangere in pochi minuti tutte le
certezze e le aspettative che nei minuti precedenti lo spettatore aveva accumulato, ed eccoci alle prese con una mutazione nei caratteri e nelle azioni dei personaggi che il contesto narrativo (e dunque la consuetudine sociale) non aveva affatto richiesto: chi è il lupo?
La sceneggiatura, scritta da Brian Nelson (tanta Tv e “30 Giorni di buio”), è il classico esempio di sceneggiatura perfetta, in cui non esistono tempi morti, i personaggi sono delineati in maniera credibile e soddisfacente e i numerosi dialoghi riescono a risultare interessanti e intelligenti. Naturalmente molto della riuscita del film va ai due attori protagonisti, Patrick Wilson (“Il fantasma dell’opera”) ed Ellen Page (“Juno”), che donano ai loro personaggi carisma e credibilità. Soprattutto la giovane Ellen Page si dimostra un’attrice versatile e di grandissimo talento, probabilmente una delle più dotate attualmente sulla piazza.
Anche Slade, dal canto suo, fa un ottimo lavoro di regia. La direzione degli attori e alcune inusitate scelte di illuminazione e di inquadratura valorizzano ancora di più il film.
Non tralasciamo poi il fatto che il film è efficacemente feroce, trattando la tematica delicata della pedofilia con grande naturalezza, senza scadere nel moralismo gratuito e nello sfruttamento sensazionalistico di una tematica
tabù. Le torture fisiche e soprattutto psicologiche che compaiono in “Hard Candy” riescono davvero a far “sudare freddo” lo spettatore, pur non mostrando ne sangue ne frattaglie, anzi dimostrando che la suggestione emotiva è più efficace quando applicata al non visto.
Il primo lungometraggio di Slade è datato 2005, ma è stato distribuito in Italia solo tre anni dopo e per il solo mercato dell’home video, probabilmente cavalcando il successo crescente che sta avendo l’attrice protagonista Ellen Page (interprete del premio Oscar “Juno”). E’ un peccato vedere prodotti di così elevata qualità “sprecati” per invisibili uscite home video quando le sale cinematografiche sono affollate da amenità spesso pensate appositamente per una distribuzione in dvd (“Boogeyman 2 – Il ritorno dell’uomo nero” docet).
L’unico consiglio è recuperare a tutti i costi questa perla del thriller contemporaneo.