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9 EXTRAÑOS

House of 9

2005 DE
junio 19, 2005

Nueve extraños sin aparente conexión entre ellos, son raptados, drogados, secuestrados, y encerrados juntos en una casa. Las puertas están cerradas con llave y las ventanas tapiadas. No hay salida. Aturdidos y desorientados, son vigilados por alguien de quien sólo conocen su voz a través de un intercomunicador. Allí serán retados en un juego que les hará competir a vida o muerte entre ellos, y cuyo ganador será el único que saldrá con vida.

Directores

Steven R. Monroe

Reparto

Kelly Brook, Dennis Hopper, Hippolyte Girardot, Peter Capaldi, Susie Amy, Raffaello Degruttola, Ashley Walters, Morven Christie, Julienne Davis, Jim Carter
Drama Terror Suspense
HMDB

RESEÑAS (1)

LP

Luca Pivetti

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Cosa hanno in comune un prete, un ballerino, un grafico, un rapper, un ex tennista, una donna in libertà vigilata, un compositore fallito e sua moglie? Niente, ma sono stati tutti rapiti da un maniaco che li ha rinchiusi in una casa per partecipare ad un gioco. Scopo del gioco? Fra tutti ne può sopravvivere solo uno, e quest’ultimo otterrà un compenso di 5 milioni di dollari. Regole del gioco? Nessuna. Nove persone, 75 telecamere, un solo sopravvissuto. Che il gioco abbia inizio. “House of 9” è il classico esempio di quanto una sceneggiatura possa rovinare, se non del tutto almeno in parte, un’idea di base simpatica e divertente. Idea di base che in questo caso non appare nemmeno originale, visto che la pellicola diretta da Steven R. Monroe attinge a piene mani dai vari “Saw”, “Cube” “My Little Eye” e persino il remake de “Il Mistero della Casa sulla Collina” rimanendo però con i piedi ben piantati nella realtà. Peccato constatare che lo script, ad opera di Philippe Vidal, non regga gli ottantacinque minuti di film e “House of 9” ci metta troppo tempo ad entrare nel vivo, soffrendo di sostanziali cali di tensione per poi riprendersi, come al solito, all’altezza del finale. Un film che cerca di portare sullo schermo quanto l’uomo possa regredire ai suoi più bassi istinti per portare a casa la pellaccia avrebbe inoltre necessitato personaggi meglio caratterizzati e, soprattutto, meno stereotipati (il nero rapper, tanto per cambiare, il poliziotto che sembra sbroccare da un momento all’altro), anche se bisogna ammettere che sono meno peggio della media degli slasher che ci provengono d’oltreoceano. Ci si concentra maggiormente sulle psicologie (per quanto basilari) e sulle modalità di ogni personaggio di affrontare la situazione (la bottiglia, la preghiera, la paranoia), piuttosto che sulla violenza tout-court e sul classico bagno di sangue derivante dal tutti contro tutti. Insomma, siamo di fronte ad una situazione che potrebbe tranquillamente prendere piede se un giorno la Marcuzzi si svegliasse e decidesse di dire a quelli della casa che solo uno uscirà vivo e riceverà un pacco di soldi, altrimenti ciccia, tutti fregati. “Grande Fratello Goes Brutal” potrebbero chiamarlo questo reality. Idea tutto sommato convincente e in grado di dare ad “House of 9” una certa personalità rispetto ai film che trattano un simile argomento, ma che non regge bene la lunga durata. Il risultato è un lavoro a tratti interessante, a tratti noioso; la classica pellicola che va a corrente alternata. Con questo, però, il sottoscritto non sta dicendo che “House of 9” sia un brutto film, ma semplicemente che Steven R. Monroe non sia riuscito a sfruttare appieno le potenzialità che stavano alla base della sceneggiatura. Perché in realtà di frecce al proprio arco la pellicola ne ha e più di una: è interessante, ad esempio, osservare come cambino le dinamiche all’interno del gruppo al primo incidente, e come dall’”Uniti Vinceremo” si passi in fretta a “Voi pensate a voi, io me ne sto bene da solo”. Particolarmente interessante anche analizzare il modo in cui la paranoia, la paura, ed il sospetto dilaghino nelle menti dei protagonisti minuto dopo minuto, così come sono meritevoli d’attenzione alcune trovate registiche e un buon numero di piani sequenza che trasformano i protagonisti in topi chiusi in un labirinto. Notevole, infine, assistere al naufragare delle vicende nei venti minuti finali della pellicola, con un aumento della violenza e qualche morte ben riuscita. E la tensione? La tensione ci mette un pò troppo ad entrare nella casa, ma nell’ultima mezz’ora per fortuna si fa più viva che mai e riesce a regalare momenti molto piacevoli allo spettatore. Il comparto tecnico, che ha come maggior punto di debolezza il ritmo, può vantarsi della regia dalla mano sicura di Monroe e di una fotografia fredda ma mai eccessivamente, oltre che di una bellissima scenografia (la casa è davvero da urlo). La prova del cast è discreta: se a convincere sono soprattutto le donne, gli uomini sembrano non doversi sforzare più di tanto per portare a casa la pagnotta. E Dennis Hopper nei panni del prete proprio ‘nun sè po’ vedè’. Sembra sempre in vistoso imbarazzo, nei suoi occhi si capisce che lui stesso, per primo, sa che le vesti del prete non avrebbe mai dovuto indossarle. Tirando le somme, “House of 9” è un thriller incerto ma non per questo brutto, che non ha raggiunto i risultati sperati ma che, fra innegabili difetti, può vantare anche delle trovate assolutamente da non sottovalutare. Se siete disposti a chiudere un occhio su alcuni passaggi un pò lenti, una capatina all’interno della casa potreste tranquillamente farla. Ah dimenticavo. Il finale è l’autentico valore aggiunto alla pellicola. Grande trovata, ma non aggiungo altro, se non un mezzo voto al giudizio finale.

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