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I KNOW WHO KILLED ME

2007 US
juillet 27, 2007

Aubrey Fleming, une jeune lycéenne de bonne famille est enlevée et torturée par un tueur en série. Après être parvenue à s'échapper, la jeune fille reprend conscience à l'hôpital et affirme qu'elle n'est pas celle que tout le monde pense et que la vraie Audrey Fleming est toujours en danger de mort.

Réalisateurs

Chris Sivertson

Distribution

Lindsay Lohan, Julia Ormond, Neal McDonough, Spencer Garrett, Gregory Itzin, Kenya Moore, Garcelle Beauvais, Michael Adler, Bonnie Aarons, Brian Geraghty
Horreur Thriller Mystère
HMDB

CRITIQUES (1)

RG

Roberto Giacomelli

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Aubrey è una diciannovenne di buona famiglia con la passione per la scrittura creativa. Una sera la ragazza scompare e la polizia pensa che sia stata rapita dal un pericoloso maniaco che ha già ucciso una sua coetanea. Dopo alcune settimane Aubrey viene ritrovata sul ciglio della strada in fin di vita: le è stato amputato il braccio destro e i dottori sono costretti ad amputarle anche la gamba a causa delle numerose lesioni inflitte e ormai infette. Quando Aubrey si risveglia, però, non riconosce i suoi genitori e sostiene di chiamarsi Dakota, essere orfana e guadagnarsi da vivere come ballerina in un locale di lap dance. Mentre la polizia indaga per rintracciare il maniaco, Dakota cerca di far chiarezza sul suo caso e per quale motivo tutti la scambiano per un’altra persona. Floppando al botteghino e guadagnando una numero “ragguardevole” di premi ai Razzies Award del 2007, “Il nome del mio assassino” giunge in Italia direttamente per il mercato dell’home video, dopo essere stato più volte annunciato in sala. Non si capisce chiaramente il motivo che ha spinto la Moviemax a distribuire il film direttamente in dvd (il flop nei botteghini USA probabilmente), fatto sta che il film con protagonista Lindsay Lohan si è ormai guadagnato una fama da “scult” che non rende giustizia alla reale qualità dell’opera. “Il nome del mio assassino” non funziona a dovere, questo è evidente fin dai primi minuti, e i macroscopici problemi di sceneggiatura e di gestione del ritmo sono probabilmente tanto invadenti da oscurare quanto di buono il film di Chris Sivertson abbia da offrire. Perché il film in questione ha una serie di buone carte giocate che comunque non bisogna sottovalutare e, a conti fatti, si potrebbe anche rimanere piacevolmente colpiti da alcune intuizioni più che buone. Innanzitutto partiamo col dire che la tanto criticata Lindsey Lohan, a cui è andata una doppia statuetta ai suddetti Razzies (migliore coppia sullo schermo, visto che interpreta un doppio ruolo), se la cava egregiamente in un ruolo per lei inedito. L’ex reginetta delle commedie Disney, infatti, esordisce nella finzione (ma il parallelismo con i suoi precedenti di vita reale non sono del tutto posticci) in ruolo da bad girl che sembra calzarle a pennello, tanto che appare decisamente più convincete quando impersona la lap dancer Dakota piuttosto che la ragazza acqua e sapone Aubrey. Ma la Lohan è valorizzata soprattutto perché è circondata da un manipolo di attori poco convinti e poco convincenti che offrono una prestazione piatta e incolore, a cominciare da Julia Ormond (“Il primo cavaliere”; “Il curioso caso di Benjamin Button”) e Neal McDonough (“A testa alta”; “The Hitcher”), che interpretano il ruolo dei genitori di Aubrey/Dakota. Il tema che sta alla base di “Il nome del mio assassino” è di quelli datati e sfruttati in mille occasioni: il doppelenger, il doppio. Fortunatamente, però, il soggetto di Jeff Hammond non è proprio banale e così si riesce a trattare l’argomento guardando a un aspetto inedito che non è il caso di svelare qui; il gioco del doppio e dell’ambiguità della situazione riesce piuttosto bene anche se il regista Chris Sivertson (“The Lost”) forse esagera sull’accentuazione delle differenze tra le due parti della stessa medaglia (Aubrey e Dakota) facendo un uso tanto affascinante quando esagerato fino alla nausea dei cromatismi, connotando con il blu elettrico e il rosso acceso le scene che riguardano l’una e l’altra. Ma purtroppo tanto è accattivante e ricco di potenzialità il soggetto quanto è pasticciata e mal gestita la sceneggiatura, sempre opera di Hammond. Il film, infatti, fatica a partire presentando una situazione incerta su che direzione prendere e francamente noiosa. Inizialmente il tutto inizia nelle corde di un thriller adolescenziale virato di connotati realistico-scientifici tipici del moderno crime-serial contemporaneo alla “C.S.I” o “Cold Case”, ma presto l’atmosfera muta e si intravede la voglia di voler battere chiodo in direzione torture-porn, grazie alla messa in scena di alcune scene di tortura particolarmente cruente. Il tutto gestito con ritmo piuttosto blando. Poi, quando si entra nel vivo della vicenda e il film comincia ad acquistare una sua identità, il tutto si fa più interessante e coinvolgente, ma quel senso di farraginoso e superficiale rimane, unito probabilmente anche a qualche buchetto in quello che può essere sicuramente considerato uno scipt disordinato. Tra alti e bassi, dunque, “Il nome del mio assassino” risulta in definitiva un film non imperdibile ma comunque piacevole, con più difetti che pregi, ma sicuramente non quel disastro che si vocifera(va) in giro.