Imago Mortis backdrop
Imago Mortis poster

IMAGO MORTIS

2009 ES
gennaio 15, 2009

Nel 1600, prima dell'invenzione della fotografia, lo scienziato Girolamo Fumagalli, ossessionato dall'idea della riproduzione di immagini, scoprì che uccidendo una vittima e rimuovendone la retina (dove si diceva venisse impressa l'ultima immagine scorta dalle persone) era possibile imprimerla su stampa. Fumagalli diede a questa tecnica il nome di 'Thanatografia'. Oggi questo macabro rituale viene commesso in una scuola spagnola di cinema. A Bruno e Arianna, due studenti, il compito di scoprire il mistero celato tra le mura di quella scuola.

Registi

Stefano Bessoni

Cast

Alberto Amarilla, Oona Chaplin, Geraldine Chaplin, Jun Ichikawa, Álex Angulo, Francesco Carnelutti, Franco Pistoni, Silvia De Santis, Leticia Dolera, Hairi Vogel
Horror
HMDB

RECENSIONI (1)

RG

Roberto Giacomelli

skull skull empty skull empty skull empty skull
Nella scuola internazionale di cinema “F. W. Murnau” gli studenti stanno affrontando una serie di compiti di fotografia il cui esito porterà alla scelta del vincitore del titolo di “regista”. Cercando un soggetto da fotografare per la tematica “Tempo”, Bruno ha una visione in cui gli appare un giovane suicida appena gettatosi dagli alti piani dell’edificio. Questa apparizione però non è un caso isolato e il giovane compare più volte a Bruno, sembrando quasi che voglia dirgli qualche cosa. Decifrando le indicazioni dello spettro, il ragazzo scopre una cassa contenete il thanatoscopio, un macchinario creato del XVII secolo dall’alchimista Girolamo Fumagalli e capace di catturare l’ultima immagine impressa nella retina di un morente. Da quel momento nella scuola cominciano ad accadere strani fatti di sangue. Da qualche tempo il panorama cinematografico italiano sembra interessarsi nuovamente al cinema di genere. I primi passi sono stati effettuati nella commedia, dove si è cercato di dare sequel a film di culto dei primi anni ’80, con risultati soddisfacenti per il botteghino ma per lo più imbarazzanti sotto un punto di vista qualitativo. Qualche passettino si è mosso anche nel campo del poliziesco, da anni fagocitato dalla tv, ma riesplorato al cinema da professionisti come Soavi e Placido con risultati decisamente più che buoni. Poteva mancare l’horror? Ovviamente no. Così tra vecchie glorie che fanno centro ma di cui si è parlato poco (Pupi Avati) e altre che rischiano il linciaggio degli appassionati (Dario Argento e Lamberto Bava), si inserisce anche l’occasione di una distribuzione in pompa magna per un quasi-esordiente, Stefano Bessoni, che con “Imago Mortis” tenta il vero colpaccio. Tenta, però, perché a conti fatti il colpaccio non è riuscito. Il quarantatreenne Bessoni, ex fumettista, docente di cinema, sceneggiatore e perfino tecnico degli effetti speciali, dirige “Imago Mortis” cercando di riunire in un unico film tutto il suo amore per il cinema. Alla sua seconda opera dopo “Frammenti di scienze inesatte”, thriller scientifico datato 2005 (purtroppo mai approdato in sala), Bessoni scrive e dirige un horror che strizza l’occhio all’Espressionismo tedesco, al gotico degli anni ’60, al thriller complottistico e paranoico polanskiano, al giallo-horror italiano degli anni ’70 e alle ghost story dell’ultimo decennio. Una miscela tanto rischiosa quanto appetibile. Purtroppo però non tutto fila per il verso giusto in questo lungometraggio e spesso i difetti sono più ingombranti dei pregi. Il gioco citazionista e cinefilo è subito evidente e leggibile su due livelli. Da una parte abbiamo la citazione palese e nominale, quella che ci fa subito riconoscere l’omaggio all’Espressionismo con i nomi di Murnau (la scuola) e Caligari (il soprannome del professore), oppure al cinema di genere anni ’70, soprattutto argentiano, con i nomi di Nicolodi (storica attrice ed ex compagna di Dario Argento, qui nome dell’inserviente scolastica), Fumagalli (il nome dell’alchimista che suona molto vicino al Fulcanelli di “Inferno”) e naturalmente il thanatoscopio che tanto richiama alla mente il fantomatico metodo usato in “Quattro mosche di velluto grigio” per smascherare l’assassino. Ma la voglia cinefila di Bessoni si va poi a notare anche a livello più ipodermico, nella stessa realizzazione formale dell’opera che cattura l’atmosfera gotica di alcuni classici della Hammer e del cinema di Freda, soprattutto nelle scenografie, nonché alcuni movimenti di macchina e inquadrature che rimandano direttamente alla lezione espressionista. Come non notare poi una costruzione della tensione che sembra derivare direttamente dalla ghost story d’ultima generazione (la citazione verbale a “Il sesto senso” torna qui al livello cutaneo), compresi sbalzi sonori? Insomma, la passione dietro c’è tutta, è evidente, e anche la messa in scena è di quelle davvero curate e raffinate. Il bello è che Bessoni sa anche muoversi molto bene dietro la macchina da presa, c’è molta eleganza e uno studio meticoloso per ogni particolare, così come risulta lodevole la scelta e l’utilizzo delle, a tratti fatiscenti, scenografie (ricavate da un ospedale in disuso e dagli studi Lumiq di Torino) e la cura della fotografia, opera di Arnaldo Catinari. Dunque cosa non convince in quello che sembra essere un film con tutte le carte in tavola? In primis la storia, o meglio, il modo in cui è stata sviluppata. Le idee della thanatografia e della costruzione a tratti meta cinematografica erano ottime, sicuramente meritevoli d’attenzione, ma il plot di “Imago Mortis” riesce tranquillamente a relegarle in secondo piano per privilegiare la poco credibile immersione nella follia del protagonista e la ridicola storia di fantasmi che vi aleggia attorno. E’ stato reso noto che la sceneggiatura ha avuto una realizzazione molto travagliata, partita dalla collaborazione di ben cinque sceneggiatori (oltre allo stesso Bessoni, Luis Berdejo, Richard Stanley, Marcello Paolillo e Giulia Blasi) e poi riscritta in breve tempo (due settimane, si dice) da Bessoni e lo spagnolo Berdejo. E infatti la confusione che immaginiamo aleggiasse in fase di scrittura si sente tutta nel prodotto finale in cui si nota una palese indecisione sulla strada da far prendere al plot. C’è una fin troppo lunga fase preparatoria che tenta (malamente) di approfondire il protagonista, il suo passato e le sue relazioni interpersonali, farcita da una storia ‘de paura’ che gioca tutto sulle inutili apparizioni del fantasma, che fastidiosamente rimandano alle ghost stories asiatiche. C’è poi il ritrovamento di questo thanatoscopio, e la cosa si comincia a fare interessante, ma l’argomento viene subito relegato a supporto di nuove frustrazioni mentali del protagonista e nuovamente dalle intruse apparizioni dei fantasmi. Nuovo cambio di registro, si torna al thanatoscopio, ma stavolta si contamina con il thriller, con tanto di assassino colpevole e movente. Dunque si nota moltissimo che il film soffre di schizofrenia, data da un’anima classica e dettata dalle influenze del cinema passato (sarà l’anima bessoniana?) e da un’altra dedita allo spavento facile con l’evitabilissima contaminazione con il cinema di spavento ectoplasmatico più moderno (colpa di Berdejo?). “Imago Mortis” manca poi impressionantemente di ritmo, c’è un girare a vuoto preoccupante che rischia di far chiudere le palpebre allo spettatore, un’ingiustificabile mancanza di coinvolgimento con la storia e immedesimazione con i personaggi. In questo senso, probabilmente, la semplificazione della storia e la riduzione della durata avrebbero aiutato. Il cast fa il suo lavoro senza infamia e senza lode, si possono riconoscere i volti di Geraldine Chaplin (“Parla con lei”; “The Orphanage”), Francesco Carnelutti (“Il codice da Vinci”; “Il nascondiglio”) e Alex Angulo (“Azione mutante”; “Il labirinto del Fauno”) e conoscere quelli di Oona Chaplin (“Quantum of Solace”) e Leticia Dolera (“[Rec 2]”). Colui che non convince affatto è Alberto Amarilla (“Mare dentro”), nei panni del protagonista, sempre indeciso tra sorrisi dolci alla sua amica Arianna (anche nei momenti meno opportuni) ed espressioni da cucciolo bastonato, con tanto di occhioni colmi di lacrime. “Imago Mortis” si presenta così come un bell’esercizio di stile che possa far conoscere il talento estetico-tecnico del regista, ma soffre di così tante “turbe” narrative da far pensare a una bella occasione mancata. Speriamo solo che pian piano il cinema di genere italiano torni davvero a produrre una buona quantità di titoli produttivamente rilevanti tanto da farsi competitivo; “Imago Mortis” è solo un piccolo passo in quella che comunque si prospetta una lunga camminata.