Dans leur superbe appartement de l'Upper East Side, Brad et Abby Cairn célèbrent la naissance de leur deuxième enfant, Lily. Joshua, le grand frère, ne voit pas l'arrivée de sa soeur d'un bon oeil. D'une intelligence et d'une précocité rares, sa politesse et son calme apparent contrastent fortement avec son âge et masquent à peine la jalousie viscérale qu'il éprouve envers sa petite soeur.La vie de famille va peu à peu se fissurer. Entre les pleurs incessants de Lily et les travaux de rénovation de l'immeuble, entre l'étrange dépression postnatale d'Abby et les événements troublants que le couple va vivre, l'existence de rêve de la famille Cairn va virer au cauchemar.Est-ce le fruit du hasard, d'un redoutable concours de circonstances, ou sont-ils la proie d'un esprit maléfique et machiavélique, celui de Joshua ?
Réalisateurs
George Ratliff
Distribution
Sam Rockwell, Vera Farmiga, Jacob Kogan, Celia Weston, Dallas Roberts, Michael McKean, Randy Ryan, Nancy Giles, Linda Larkin, Alex Draper
La famiglia Cairn è protagonista di un lieto evento: è infatti appena nata la secondogenita Lily. Purtroppo però la nascita della bambina non è proprio sinonimo di felicità poiché la coppia formata da Brad e Abby comincia lentamente a sfaldarsi, soprattutto a causa di una pesante crisi di nervi che coglie Abby, ossessionata dai pianti della bambina e dalle responsabilità materne. L’unico che rimane sempre impassibile in questo clima di palpabile tensione è Joshua, il primogenito, un bambino di nove anni intelligente e ubbidiente. Ma l’apparente perfezione del bambino nasconde un’inquietante freddezza che fa sorgere il dubbio nel padre che in realtà Joshua stia macchinando un metodo per eliminare la sorellina e riportare l’attenzione e l’affetto esclusivamente su di se.
Avete presente quella puntata dei “Simpson” in cui ci viene raccontata la nascita di Lisa? Ricordate la reazione di Bart che improvvisamente si sente in secondo piano a causa delle troppe attenzioni catalizzate sulla nuova arrivata? Ecco, “Joshua” è la versione dramma-thiller di quella simpatica puntata del cartoon.
Dispetti, gelosie, capricci, scontri intra-familiari, crisi di coppia, crisi post parto, fondamentalismo religioso, accuse di maltrattamento, sadismo infantile, turbe psicologiche, tutto ciò e anche di più è compreso in “Joshua”, un film che sicuramente avrebbe voluto, potuto, dire e fare molto di più di quello che in effetti racconta e mostra. L’impressione complessiva a fine visione è che il regista George Ratliff abbia continuamente tenuto il freno tirato
su qualunque tematica affrontata esplorando a più riprese diversi generi e usando diversi registi narrativi senza trovare in nessuno di essi la forma che più lo soddisfacesse. Il risultato è un film sfilacciato che non è assolutamente un horror anche se tenta di creare tensione con il linguaggio consono al genere, non è un thriller perché non c’è nessun mistero da risolvere anche se il regista vorrebbe farcelo credere, non è un dramma perché troppo “di genere” per essere preso seriamente.
“Joshua”, che in alcuni Paesi è stato presentato con il fuorviante sottotitolo “The Devil’s Child”, possiede una prima parte sicuramente interessante e grossomodo originale, in cui ci viene presentata con una certa intelligenza e accuratezza la situazione familiare dei Cairn e le loro dinamiche interpersonali, con una sapiente descrizione dei personaggi e attenzione per i particolari. I coniugi Cairn ci vengono presentati come la classica coppia un po’ annoiata dell’alta borghesia: lui simpatico e di successo, forse rimasto ancora un po’ adolescente nell’animo, lei a volte apprensiva a volte insicura, sicuramente oppressa dalle responsabilità familiari per le
quali evidentemente non è portata. In questo “caos calmo” familiare agisce indisturbato Joshua, un bambino troppo intelligente e troppo maturo per la sua età; quasi una presenza diabolica, con quell’inquietante aria angelica di chi sta architettando qualche cosa. L’ottima caratterizzazione dei personaggi è valorizzata dalle belle performance degli attori, tutti in parte, a cominciare da Sam Rockwell (“Il miglio verde”; “Il genio della truffa”) nel ruolo del padre di famiglia, passando per Vera Farmiga (“15 minuti”; “The Departed”) nei panni della mammina isterica, e per finire con il sorprendente Jacob Kogan, un Joshua fin troppo calato nella parte.
Ad una buona prima parte, però, segue una seconda poco convincente, in cui ci vengono imposti come colpi di scena situazioni di cui già tutti avevamo la piena certezza, anche se una certa ambiguità di fondo è sempre presente. L’intensificarsi del confronto tra padre e figlio raggiunge acumi di assurdità e la presenza di alcuni personaggi decisamente poco credibili rovina il realismo fino a quel punto costruito; esempi lampanti sono la scena del parco e il personaggio della dottoressa che arriva a conclusioni un po’ troppo affrettate sulle responsabilità paterne.
Quel che forse sconcerta più di ogni altra cosa è
il nulla che risiede a conti fatti dietro questa pellicola, purtroppo confermato da un finale privo di qualsiasi climax: tutto ciò che viene pian piano costruito durante le quasi due ore di film non porta praticamente a nulla, regalandoci solo un’anomala conclusione canterina che lascia molto con l’amaro in bocca.
George Ratliff, qui al suo esordio con un lungometraggio a soggetto, ha uno stile sobrio e riflessivo, forse un po’ demodé, che comunque si adatta molto bene al tipo di storia che vuole raccontare. Il suo modello è chiaramente Polanski (dramma intimistico svolto tra le mura domestiche), ma il risultato è più vicino a “L’innocenza del diavolo”, di cui conserva la tematica trattata ma ne perde la cattiveria visiva di fondo e il gusto quasi exploitativo. Qua e là si possono notare curiose citazioni da “La corazzata Potemkin” (la carrozzina spinta giù dalle scale) e da “L’esorcista” (l’inizio con riunione di famiglia e improvviso malore del pargolo).
Potenzialmente interessante, a conti fatti deludente.