Mikael Blomkvist è tornato alla guida della rivista Millennium ed è pronto a pubblicare un numero speciale sulla piaga del trafficking, la tratta delle donne dall'Est Europa per scopi di sfruttamento sessuale. Grazie al lavoro coraggioso di un giovane collaboratore e della sua compagna, sta per fare nomi e cognomi, senza badare alla posizione sociale dei malcapitati. Ma un triplice omicidio riscrive le sue priorità, poiché la principale sospettata altri non è che Lisbeth Salander, la donna che odia gli uomini che odiano le donne, la donna che Mikael, il seduttore, non si toglie dalla testa. Convinto della sua innocenza, Blomkvist cerca di arrivare a lei prima della polizia e di un terribile gigante biondo, che marca la linea di collegamento tra il male politico e il male privato, nascosto nel passato personale di Lisbeth.
Registi
Daniel Alfredson
Cast
Michael Nyqvist, Noomi Rapace, Lena Endre, Peter Andersson, Annika Hallin, Per Oscarsson, Sofia Ledarp, Micke Spreitz, Georgi Staykov, Paolo Roberto
Due giornalisti della rivista Millennium vengono uccisi poco prima che venissero pubblicate delle scottanti rivelazioni riguardante il traffico del sesso in Svezia.
Sull’arma del delitto vengono trovate le impronte di Lisbeth Salander, immediatamente ricercata ma per il momento irreperibile. Starà a lei, e al suo amico Mickael Blomqvist (direttore della rivista Millennium), provare la sua innocenza e scovare i veri colpevoli.
Man mano che Lisbeth prosegue le sue indagini, però, si rende conto che dovrà affrontare una volta per tutte i fantasmi del suo passato.
Dopo nemmeno un anno dall’uscita nelle sale cinematografiche di “Uomini che Odiano le Donne”, il secondo capitolo della saga creata da Stieg Larsson fa la sua comparsa sul grande schermo.
Dietro la cinepresa non troviamo più il bravo Niels Arden Oplev ma Daniel Alfredson (lo incontreremo nuovamente nel terzo capitolo “La Regina dei Castelli di Carta”), che dona alla pellicola uno stile volutamente più concitato e frammentario, per certi versi adatto per un capitolo della saga estremamente importante e sfaccettato che, tuttavia, non è stato in grado di fare giustizia alla controparte cartacea.
Dal libro di Larsson sono stati omessi numerosi
particolari (sono pur sempre 754 pagine) e quel che ne scaturisce è un film indubbiamente riuscito soprattutto per chi non ha letto l’opera dello scrittore, ma meno coeso e convincente del precedente a causa dei numerosi tagli che sono stati fatti in sceneggiatura, nonostante il minutaggio sia relativamente elevato anche in questa occasione (124 minuti).
Il film tuttavia appare comunque curato sul lato tecnico: la regia di Alfredson è sì diversissima da quella del suo predecessore, ma riesce comunque a donare un certo dinamismo ai fatti narrati e si concede anche qualche bel momento particolarmente riuscito, mentre la fotografia abbandona i toni cupi e gelidi di “Uomini che Odiano le Donne” per un approccio più sporco e “diretto”.
Al centro delle vicende rimane comunque la coppia Salander/Blomqvist nuovamente portata sugli schermi dai talentuosi Noomi Rapace e Michael Niqvist, ma questa volta le cose sono più complicate in quanto i due proseguono le proprie indagini in maniera separata: questo permetterà a Lisbeth di lanciarsi in metodi di indagine poco corretti e allo stesso tempo di scavare ulteriormente nel proprio tragico passato ed affrontare i demoni della sua infanzia,
tornati improvvisamente e violentemente nella propria vita.
Squadra che vince non si cambia quindi, ed ancora una volta i due funzionano alla perfezione: oltre a loro comunque non mancano un paio di nuovi personaggi estremamente interessanti, fra i quali spicca l’enorme biondone e bambinesco Niederman che non sente il dolore, un autentico osso duro per Lisbeth ma semplice braccio di una mente criminale ben più viscida e pericolosa.
Il tema sulla violenza sulle donne rimane al centro del racconto, questa volta ampliando ulteriormente il discorso sulle violenze di stampo sessuale, e la stessa pellicola mantiene una carica brutale e diretta come un pugno nello stomaco fino all’inevitabile show down finale che, tuttavia, lascia lo spazio ad un cliffhangher da serie-tv.
Questo perché “La Ragazza che giocava con il Fuoco” risulta, soprattutto nella sua essenza cinematografica, un lavoro interlocutorio, ma ovviamente necessario, che spiana la strada a quello che avverrà nel terzo e conclusivo episodio.
Il film pertanto mantiene una sua importanza nell’economia della saga cinematografica, ma si ha l’impressione che in fase di montaggio siano stati omessi degli elementi importanti che hanno portato a passaggi frettolosi e superficiali che, al contrario, avrebbero meritato di essere ulteriormente trattati perché si potesse rendere giustizia all’opera di Larsson.
Insomma, rispetto a quanto fatto con “Uomini che Odiano le Donne”, il lavoro di Alfredson rappresenta un evidente passo indietro a causa di una sceneggiatura a tratti sbrigativa ed un paio di passaggi non del tutto riusciti (lo scontro tra il pugile Paolo Roberto, che interpreta sé stesso, e Niederman appare un po’ parodistico), ma comunque indispensabile per prepararsi all’imminente nuovo capitolo.
“La ragazza che giocava con il Fuoco” si lascia vedere e rappresenta un buon prodotto, ancora una volta lontano dalle logiche hollywoodiane e dotato di una personalità tutta sua, il che, coi tempi che corrono, non è poi una cosa così scontata.