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Roberto Giacomelli
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Tre storie che hanno come comune denominatore la setta psico-religiosa Taylor-Errickson.
“Shakti”. Una giornalista, intenzionata a scrivere un dossier sull’omicidio di un adepto alla setta Taylor-Errickson avvenuto nel 1988, si reca nell’ospedale psichiatrico in cui è rinchiusa colei che è stata ritenuta responsabile dell’omicidio; ma la donna racconta di essere innocente e che il vero autore dell’assassinio è stato uno spirito maligno.
“Devi”. Un ragazzo, costretto alla consultazione di uno psichiatra a causa di problemi con la gestione dell’ira, si trova in cura da un dottore che applica metodi alquanto discutibili.
“Kalì”. Un noto guaritore si trova a curare una donna da un doloroso irrigidimento della spina dorsale, ma rimettendo a posto la schiena della sua paziente libera uno spirito parassita che si era insediato nel corpo della donna.
“Lacrime di Kalì” è un piccolo film tedesco del 2003, girato con pochi mezzi ma con grande maestria; le tre storie che lo compongono sono un concentrato di sadismo e crudeltà, decisamente poco adatte agli stomaci deboli. La pellicola ha chiare intenzioni di critica verso le numerose sette pseudo religiose che sono proliferate tra gli anni ’70 e ’80 in mezzo mondo e alla loro resurrezione concettuale nella seconda metà degli anni ’90 attraverso la moda orientale del new age; in questo caso vediamo assurgere il ruolo di protagonista ad una setta indiana ( ma fondata da occidentali ) che ha come punto focale il raggiungimento di un’estasi mistica che mette in comunicazione spirito e corpo, ma lo fa con mezzi spesso tanto drastici che crudeli e autolesionisti. Vedremo dunque una ragazza che si taglia le palpebre degli occhi per poter “Vedere”, un tizio che esce letteralmente dalla sua pelle e via dicendo, in un turbine di sangue e pazzia.
Le tre storie sono molto varie: la prima ha un impianto narrativo e alcune soluzioni visive che ricordano da vicino i moderni horror orientali, con tanto di scena al cardiopalma ambientata in un ascensore; la seconda storia è quella narrativamente meno articolata, ma probabilmente la più impressionante; la terza è la più classica, diciamo quasi alla “Creepshow”, con demone invisibile, morti viventi e qualche strizzatina d’occhio all’ “Evil dead” di Raimi.
Diverse e gustose sono anche le citazioni dal cinema di genere italiano, con chiari rimandi ai più noti film di Fulci ( gli occhi che grondano sangue e la scheggia di legno nell’occhio, rispettivamente provenienti da “Paura nella città dei morti viventi” e “Zombi 2” ) e una citazione esplicita anche allo spaghetti western ( si parla di “Keoma” ).
“Lacrime di Kalì” è dunque un maturo esempio di horror low budget che celebra la tradizione dei film a episodi, trattando la materia a disposizione in modo crudo e raccapricciante. Vale sicuramente la pena di dargli un’occhiata.