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Roberto Giacomelli
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Niccolò, Viola e quattro loro amici si danno appuntamento al multiplex della loro città per andare a vedere un film horror. Sul luogo si imbattono subito nella guardia del cinema, uno strano individuo che sembra ossessionato dall’ordine e dalla disciplina. Su quel cinema si raccontano, inoltre, inquietanti storie su persone scomparse e mai ritrovate, così uno dei ragazzi propone un’idea per passare una nottata diversa dal solito: nascondersi in sala a fine proiezione così da passare la notte nel multiplex. E così succede, ma quando la guardia del cinema si accorge della loro bravata, per i sei amici invece di una notte di divertimento una notte da incubo!
Sei amici ventenni si incontrano e vanno al cinema. Quattro battute messe in croce tanto per dirci: 1) chi tra di loro sta con chi; 2) che il cinema è maledetto; 3) che il tizio che pulisce i cessi nel cinema ha qualche rotella fuori posto. Poi parte il film nel film, ovvero quello che i ragazzi sono andati a vedere in un modernissimo multiplex fuori città e ci accorgiamo che a scorrere sullo schermo sono le immagini dello scultissimo “Fatal Frames – Fotogrammi mortali”, l’esordio registico di Al Festa, delirante thriller risalente al 1996. Probabilmente è una onesta dichiarazione d’intenti la scelta da parte del regista e sceneggiatore Stefano Calvagna di
omaggiare nel suo brutto film un altrettanto brutto film di genere, o almeno ci piace crederlo perché se non ci si gioca la carta dell’ironia, arrivare mentalmente sani alla fine della proiezione di “MultipleX” è davvero dura.
La proposta di girare un thriller/horror ambientato in un cinema giunge al regista di “Il lupo” e “L’ultimo utras” direttamente dalla catena UCI Cinemas, di cui fa parte il multisala di Parco Leonardo a Roma Fiumicino dove il film è ambientato e girato. Per svolgere questo compito, Calvagna decide di ispirarsi a una storia vera di cui ha sentito parlare poco tempo prima da un’autista a New York, dove il regista si trovava per la promozione del suo film precedente “Cronaca di un assurdo normale”. Sembra che in un cinema dello Stato americano si sia consumata una macabra storia di follia, dove un guardiano di multisala ha spiato ripetutamente e minacciato i clienti del cinema che non si attenevano alle sue assurde e rigorose regole, prima di essere arrestato e affidato alle cure mediche. Partendo da questo spunto che ci potrebbe fornire ottime suggestioni, Calvagna scrive un soggetto che invece tenta di ascrivere il suo film all’abusato e logoro filone del teen-slasher. Il guardiano del cinema, ovviamente, qui non si limita a spiare e minacciare, ma rapisce, tortura e uccide, proprio come deve
accadere in questo tipo di film; però non aspettatevi uno spettacolo che punta sul sadismo, la violenza, la tensione, la morbosità o chissà che altro tra quello che ci si aspetterebbe da un film del genere. “MultipleX” sembra un teen-slasher fine anni ’90 di quelli che uscivano direttamente in videocassetta, innocuo come una coccinella e mirato più all’azione che alle coltellate mortali, lasciate tutte inspiegabilmente fuori campo. Ma i problemi di questo film non si limitano alla mancanza di originalità, tensione ed emoglobina, ma vanno a minare praticamente ogni altro elemento che ne costruisce l’impalcatura e ne rimpolpa la struttura.
Difetto fondamentale di “MultipleX” è la scrittura: praticamente non c’è script o almeno non c’è uno script che possa definirsi tale in maniera professionale. Il film segue una struttura che ricalca il classico gioco del gatto col topo e lascia completamente da parte ogni tentativo di caratterizzare i personaggi, approfondirli, dar loro un background e, quindi, fare in modo che lo spettatore si affezioni un minimo a loro. Piuttosto i giovanotti e l’assassino che popolano il film dicono e fanno cose stupide e insensate, a cominciare dall’assunto di base di farsi chiudere in un multisala di notte e passare il tempo a giocare a nascondino. Cioè, farsi chiudere in un cinema non è come farsi chiudere in, che so, un supermercato, dove ognuno di noi almeno una volta da bambino ha
fantasticato di ritrovarsi di notte per spassarsela con tutto quello che c’è dentro. In un cinema, di notte, non è che ti puoi vedere i film gratis, quindi che fai? E qui viene l’intuizione demenziale: giochi a nascondino, no! Sei ventenni che decidono di farsi chiudere in un cinema di notte per giocare a nascondino. Basta questo dettaglio della trama per rendersi conto che “MultipleX” ha dei problemi gravi proprio alla sua base, gli manca la credibilità, le fondamenta e come ogni costruzione così fragile ci mette poco a crollare. E allora via con dialoghi assurdamente scemi e improbabili (“Dal getto della tua pipì pensavo fossi un maschio”, dice il guardiano con tono minaccioso a una delle protagoniste che esce dal bagno) e scene involontariamente ridicole che non riescono a far prendere sul serio neanche in un momento un film che invece ironico non vorrebbe essere.
Ma poi ci accorgiamo che anche la fotografia costantemente grigiastra stona, le musiche di Claudio Simonetti risultano anonime, il ritmo è si sostenuto ma la narrazione dannatamente ripetitiva lo annulla e gli attori non sono mai davvero memorabili. Se comunque si salvano mettendoci vistosamente impegno le ragazze Laura Adriani (“I Cesaroni”), Lavinia Guglielman (“Distretto di polizia”) e Giulia Morgani (“P.O.E. – Poetry of Eerie”), gli altri lasciano abbastanza a desiderare, in particolare Federico Palmieri che interpreta uno psicopatico davvero poco credibile e per nulla minaccioso. Anche il colpo di scena finale lascia molto interdetti, aprendo ulteriori voragini di sceneggiatura piuttosto che sorprendere.
Insomma, “MultipleX” risulta davvero deludente, un prodotto approssimativo in ogni sua componente che vorrebbe essere il “Demoni” dei giorni nostri ma finisce a somigliare più a “In the Market” di Lorenzo Lombardi che al bel film di Lamberto Bava.