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Roberto Giacomelli
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Ben e Jane, novelli sposi, si trasferiscono a Tokyo dove l’uomo ha ricevuto un’allettante offerta di lavoro come fotografo di moda. Una sera la coppia si trova coinvolta in un incidente automobilistico in cui investono una donna che vagava sulla strada deserta, ma una volta rinvenuti, Ben e Jane non trovano traccia della donna. Nei giorni seguenti Jane comincia ad avvertire inquietanti presenze che si rivelano attraverso le fotografie e Ben comincia a soffrire di un fastidioso dolore alla base del collo. Convinta che tutto sia collegato al misterioso incidente, Jane comincia a indagare sull’identità della donna presumibilmente investita.
Signore e signori, dopo i remake “The Eye” e “Chiamata senza risposta” e prima di “Riflessi di paura”, l’annata cinematografica italiana saluta un nuovo remake a stelle e strisce di un recente cult della filmografia horror orientale: “Ombre dal passato”.
L’originale si intitola “Shutter”, è una ghost story tailandese diretta nel 2004 (ma approdata in Italia nell’estate 2006) a quattro mani dagli impronunciabili Banjong Pisanthanakun e Parkpoom Wongpoom, e rappresenta un ottimo esempio di film del terrore imperniato su una riuscitissima tensione e sul mistero. Ma si sa, ogni buon successo e ogni bella idea altrui viene spesso fagocitata dalla mecca del cinema americano e riproposta dalla macchina hollywoodiana per
adattarsi alla cultura occidentale (o più prettamente nordamericana) ed evadere le fastidiose e spesso poco redditizie procedure di distribuzione dell’opera originale. Ma come spesso accade, il rifacimento non ha neanche un pizzico del fascino dell’opera originale e con questa ulteriore dimostrazione chiamata “Ombre dal passato” si ha la conferma che “The Ring” è stata una rarissima eccezione in un mare di inutile mediocrità impressa su pellicola.
Noi europei siamo spesso fortunati e abbiamo la possibilità di assistere sia all’opera originale che al remake, ma per il pubblico americano tante volte non è così e il film d’origine, seppur a volte reperibile negli stores specializzati con tanto di sottotitoli in inglese, nuota in una perfetta invisibilità distributiva che rende per lo più il remake l’unica versione nota al pubblico. E in casi come questo “Ombre dal passato” è un vero peccato perché si finisce per perdere un
riuscitissimo film di paura a favore di una sbiadita e frettolosa ghost story che si dimentica troppo in fretta.
La versione americana di “Shutter” potrebbe essere tranquillamente reintitolata “Sciatter”, proprio come si pronuncia, ma non riferendosi naturalmente all’otturatore della macchina fotografica onnipresente nel film, ma per sottolineare la fiacchezza del lungometraggio in questione e l’evidente svogliatezza con cui è stato portato a termine. In pratica “Ombre dal passato” è l’ombra (appunto) dello “Shutter” tailandese, è come un blow-up, un ingrandimento, dell’originale in cui si perde definizione e chiarezza complessiva dell’opera. La storia, rielaborata dallo sceneggiatore Luke Dawson (“New York Stories”), è grossomodo simile a quella del film d’ispirazione, ma procede con l’acceleratore, eliminando qualunque accenno di caratterizzazione psicologica e quasi tutte le scene più prettamente orrorifiche di cui il film di Pisanthanakun e Wongpoom era pregno. Ma il problema è che “Ombre dal passato” risulta comunque un brutto film a prescindere dal riuscito film da cui prede ispirazione.
La struttura base è la stessa di qualunque altro film appartenente al genere dalla ghost story,
soprattutto di stampo asiatico (maledizione di un fantasma rancoroso rivelata-mediata da un elemento tecnologico, indagine, scoperta della presunta verità, purificazione dell’anima del defunto tramite scoperta del suo cadavere occultato, colpo di scena finale), qui preoccupantemente somigliante a quella utilizzata da Robert Zemeckis per “Le verità nascoste”. Questa risaputa e prevedibile impalcatura regge un film lento e senza ritmo, completamente privo di qualunque tensione, incapace di creare spaventi neanche con l’abusato gioco dell’alternanza dei piani sonori. Le scene di terrore-orrore sono state completamente evitate e anche le rarissime apparizioni del fantasma (tutte relegate agli ultimi minuti del film) si svolgono e risolvono come se nulla stia accadendo.
A ciò si aggiunge una completa apatia dei due attori protagonisti, penalizzati da una sceneggiatura che non concede loro la minima caratterizzazione e costretti a pronunciare dialoghi noiosi e banali. Poi se Rachel Taylor (“Il collezionista di occhi”; “Transformers”) è almeno fisicamente adatta al ruolo della mogliettina
sconvolta da fantasmi giapponesi, il volto perennemente infantile e pacioccone di Joshua Jackson (“The Skulls”; “Cursed – Il maleficio”) non lo rende minimamente credibile nel ruolo del rampante fotografo playboy.
Dal canto suo, il regista d’importazione nipponica Masayuki Ochiai, già artefice dell’inquietante e criptico “Infection”, non aggiunge la minima personalità al progetto, sfornando il classico filmetto su commissione che stavolta non è avvalorato neanche da una particolare cura della fotografia o delle scenografie.
L’unico consiglio che si può dare è trascurare questo noioso thriller a tinte soprannaturali e magari recuperare (per chi non l’avesse già visto) l’originale “Shutter”, che offre una storia articolata in maniera più convincente e una serie di belle scene ricche di tensione.