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Roberto Giacomelli
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Nel 2006, dopo il massacro della famiglia Rey ad opera di Katie, la donna rapisce il nipotino Hunter e scompare nel nulla.
2011. La quindicenne Alex è turbata dalla presenza del piccolo Robbie, un bambino che è venuto ad abitare nella casa di fronte con sua madre. Quando una notte la donna ha un malore e viene portata via dall’ambulanza, Robbie viene affidato per qualche giorno proprio alla famiglia di Alex. Il bambino è introverso e fatica a legare con i membri della famiglia, anche se pian piano comincia a fare amicizia con Wyatt, fratellino di Alex e coetaneo di Robbie. Ma da quando il bambino è entrato nella sua casa, Alex comincia a sentire e vedere strane cose, così, sotto consiglio del suo ragazzo Ben, decide di registrare 24 ore su 24 tutto quello che accade in casa con le webcam dei computer.
Con quasi 300 milioni di dollari incassati nei soli Stati Uniti con i primi tre film, quella di “Paranormal Activity” si aggiudica lo scettro di saga più redditizia del nuovo panorama horror americano, considerando soprattutto i costi ridicoli di produzione di ogni capitolo. Per i vertici della Paramount Pictures e per i produttori Oren Peli e Jason Blum è dunque diventato un appuntamento annuale fisso: film che costano poco e portano nelle loro tasche tanti soldi. Ma al di là del lato economico – comunque aspetto fondamentale di questo fenomeno cinematografico – la saga di “Paranormal Activity” porta con se un’importanza anche sotto il punto di vista tecnico e
sociologico, mostrando come la povertà dei mezzi non sia un impedimento al successo con il grande pubblico e come il mockumentary sia davvero il linguaggio più in voga nell’ultimo lustro cinematografico di genere in quanto efficace nell’immedesimazione spettatoriale.
Consci di ciò e del fatto che il focolare domestico sia il luogo più adatto per ambientare storie di orrori e che l’invisibile e l’intangibile siano fermamente più efficaci nell’incutere timore di mostri e splatter, arriviamo al quarto capitolo della saga di “Paranormal Activity” che ci riconduce al presente. Dopo, infatti, i viaggi sempre più a ritroso nel tempo del secondo e terzo capitolo, “Paranormal Activity 4” si riaggancia al finale di “Paranormal Activity 2” per fare poi un balzo in avanti di cinque anni fino al 2011. Altra storia e altri personaggi – almeno così sembra! – che per la prima volta in questa saga ci portano a confrontarci con il teen movie. Intuita (un po’ in ritardo) qual è l’età media del pubblico pagante dei vari “Paranormal Activity”, lo sceneggiatore Christopher Landon decide di rendere protagonisti
della storia due adolescenti, Alex, interpretata dalla graziosa Kathryn Newton, e il suo ragazzo Ben, impersonato da Matt Shively. Per la prima ora di film assistiamo alla quotidianità di questi due piccioncini, con la virginale biondina e i tentativi del maschio di strapparle – invano – almeno un bacetto sulla guancia. Il tutto vissuto per lo più tramite video chat e Skype mentre tutt’intorno accadono cose strane come ombre che si muovono, porte che si chiudono da sole e le incursioni notturne dello strambo bimbetto.
L’aspetto più interessante di “Paranormal Activity 4” sta nell’intenzione di cambiare approccio verso il mezzo di ripresa, che questa volta, coadiuvato dall’azione e dall’esperienza di giovanissimi protagonisti, si fa sempre più tecnologico. Abbandonati quasi del tutto i tradizionali mezzi di ripresa come videocamere (addirittura con vhs del terzo capitolo!) e circuiti di videosorveglianza, qui l’immagine è catturata da webcam, iphone e perfino dalla Kinect della X-Box in quella che è la prospettiva più originale e suggestiva dell’intero film. “Paranormal Activity 4” però si esaurisce qui, perché per il resto è solo un taglia e cuci di cose viste nei tre film precedenti, con medesimi momenti di tensione, soliti modi d’agire del demone e stessi colpi di scena.
Il film, che porta la firma del duo Henry Joost e Ariel Schulman come nel film precedente, è movimentato e dal respiro abbastanza ampio da far quasi dimenticare che ci troviamo di fronte a un mockumetary, eppure la povertà di idee è percepibile fin dai primi minuti con la storyline portata a un livello successivo ma allo stesso tempo incartata su se stessa. Questo quarto capitolo è quasi un nulla di fatto perché, pur aprendo nuovi orizzonti e personaggi nella storia, di fatto non aggiunge nulla a quello che già si conosceva, lasciando lo spettatore con un pugno di mosche fino a un evidente e annunciato proseguimento con un quinto film.
Le scene davvero riuscite si contano sulle dita di una mano monca, il finale sa molto di già visto e seppure il film non annoia e non si trova comunque sul gradino più basso della saga (che per ora tocca a “Paranormal Activity 2”), è percepibile come le potenzialità di questo franchise si sono ampiamente esaurite e questo quarto capitolo è un evidente trascinamento verso una fine che si tenta di rimandare di anno in anno finché gli incassi non si decideranno a dire basta.
Non alzatevi dalle poltrone all’inizio dei titoli di coda perché al loro termine c’è una sorpresa che annuncia lo spin-off “ispanico” che uscirà nelle sale americane nella primavera 2013 diretto dallo sceneggiatore Christopher Landon.