RG
Roberto Giacomelli
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Marnie Watson è costretta agli arresti domiciliari per l’omicidio del marito, un poliziotto corrotto e violento che si sfogava picchiandola. La donna è dotata di una cavigliera che segnala alla polizia qualunque suo spostamento la faccia allontanare dal perimetro che le è stato imposto dalle autorità. Ma la reclusione forzata di Marnie sarà particolarmente movimentata, dal momento che lo spirito di suo marito, ucciso proprio in quella casa, è intenzionato a vendicarsi.
Prendete il mediocre thriller sulla violenza domestica e (auto)difesa “Via dall’incubo”, mescolatelo con “Poltergeist – Demoniache presenze” e aggiungete, come complicazione, l’ingrediente degli arresti domiciliari che richiama molto il recente “Disturbia”, avrete così ben chiara l’idea di cosa è “Perimetro di paura” (in originale “100 Feet”). “Ben chiara” forse non del tutto, visto che i tre film in questione difficilmente riuscirebbero ad amalgamarsi per dar vita a un ibrido. Eppure il regista e sceneggiatore Eric Red (“No Control – Fuori controllo”; “Bad Moon – Luna mortale”) ci è riuscito, forse non creando quello che potrebbe essere definito un “bel film” a tutti gli effetti, mostrando però una certa abilità nel rendere
credibile una storia dalle molte potenzialità di risultare deludente, pur non riuscendo a sfruttare a dovere i suoi punti di forza.
In una situazione di reclusione come quella mostrata in “Perimetro di paura” la carta da giocare più ovvia sarebbe stata quella della claustrofobia e della suggestione dettata dall’ambiente chiuso in cui si svolge il film. Stranamente Red non gioca affatto sulla location, non gli interessa creare nella mente dello spettatore una ideale topografia della casa in cui si ambienta la vicenda e la fisionomia vagamente gotica degli interni non viene affatto sfruttata. Escludendo in modo così deciso l’esaltazione scenografica e il terrore dettato dagli spazi, “Perimetro di paura” si affida totalmente alle singole apparizioni del fantasma, che non tendono tanto allo spavento sottile di ispirazione neo-orientale, piuttosto si gettano sulla violenza che l’apparizione genera, riportando alla mente
più “Entity” che qualunque ghost movie la scuola statunitense abbia creato.
Il look del fantasma è piuttosto azzeccato perché si rifà efficacemente all’immaginario ectoplasmatico che un po’ tutti noi abbiamo immagazzinato: sembianze antropomorfe, contorni sfocati e volto pallido trasfigurato in un immagine di terrore. Le azioni del fantasma, come su accennato, sfociano sempre nella violenza pura, creando un chiaro parallelismo con le sue scellerate azioni da vivo. Tra tutte le scene che lo vedono coinvolto la più memorabile è senza dubbio quella in cui percuote fino alla morte l’amante della moglie, tra l’altro l’unica scena che sfocia nel gore esplicito.
Purtroppo Red, che ha in carriera gli script di “The Hitcher”, “Il buio si avvicina” e “Blue Steel”, non ha fornito un’adeguata costruzione dei personaggi. Se lo stereotipo del marito violento che era anche poliziotto corrotto e ora fantasma vendicativo non crea problemi, anzi si inserisce funzionalmente nella sceneggiatura, assolutamente sbagliata è la caratterizzazione del suo ex collega, interpretato scialbamente da Bobby Cannavale (“Snakes on a Plane”; “Il superpoliziotto del supermercato”), ovvero un agente di polizia ligio al dovere che senza un reale motivo passa da autentico avversario di Marnie (lui è convinto della colpevolezza della donna) a sua guardia del corpo (è pronto a credere alla sue ragioni
sull’omicidio). Marnie, invece, è un personaggio un po’ troppo lineare e monodimensionale: lo spettatore sa fin dall’inizio delle sue ragioni e del suo status di vittima, magari lì dove sarebbe stato interessante trovare nella personalità della donna anche un minimo di ambiguità che non tagliasse con l’accetta i ruoli di buona/cattivo che sono stati affibbiati a lei e suo marito. Ad interpretare Marine c’è la brava Famke Janssen (“X-Men”; “Io vi troverò”) che, a di là della banalità del suo personaggio, riesce a reggere da sola l’intero film mostrando di avere un talento forse un po’ sottoutilizzato a Hollywood.
Il finale votato al sensazionalismo da blockbuster riecheggiante ridicolmente (e di sciuro involontariamente) scene tolkeniane sarebbe stato da riscrivere.
In definitiva “Perimetro di paura” risulta sicuramente un film guardabile e suo modo “originale”, ma è comunque ben lontano da risultare riuscito.