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Roberto Giacomelli
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L’agente speciale Strahm è morto e ormai tutti credono che fosse lui il complice di John Kramer, l’Enigmista, dal momento che il detective Hoffman ha falsato le prove per far ricadere le colpe su di lui. Ma l’identità segreta di Hoffman è in pericolo, visto che la giornalista Pamela Jerkins è venuta a conoscenza di indizi fondamentali che potrebbero portare allo svelamento della verità. Nel frattempo l’assicuratore William Easton è intrappolato in un percorso a ostacoli architettato dall’Enigmista per punirlo della sua arroganza sulla certezza di saper calcolare il valore della vita altrui.
Parlare di un nuovo capitolo della saga di “Saw” comincia a diventare una cosa complicata nonché impegnativa poiché siamo al capitolo 6, mentre scrivo il capitolo 7 è in fase di produzione e ci troviamo dinnanzi alla saga horror più importante – nonché fortunata – del nuovo millennio, forse addirittura dai tempi delle icone degli anni ’80. C’è chi liquida ormai ogni nuovo capitolo di questa saga bollandolo come semplice spazzatura per onanisti del gore su pellicola o drogati della serializzazione a tutti i costi, (s)parlando forse senza neanche aver visionato il film…tanto si tratta di “Saw” e tutti i capitoli sono uguali, no? Mai pensiero o preconcetto fu più sbagliato. “Saw” è una saga importante per la riscrittura dei meccanismi narrativi, visivi e concettuali dell’horror stesso, è un elemento fondamentale nella grande maglia che costruisce l’universo orrorifico su celluloide ed è destinato a influenzare per sempre il futuro di questo
genere. Può piacere o meno quello che “Saw” e torture porn stanno facendo, su questo non ci sono dubbi, ma è sinonimo di ignoranza bollare il tutto come inutile robaccia per decerebrati.
“Saw VI” rappresenta l’apice della seconda trilogia sulle gesta dell’Enigmista John Kramer (che ormai la distribuzione italiana ha voluto identificare nomenclativamente con lo stesso titolo della saga, dunque chiamandolo Saw), il capitolo più riuscito e meglio architettato sulle azioni del discepolo Mark Hoffman. Con il quarto capitolo c’era stato un fisiologico calo qualitativo della saga, dovuto soprattutto a una carenza di idee che aveva portato a una riscrittura di alcuni elementi fondamentali e all’aggiunta di altri decisamente poco ispirata. Con “Saw V” si era riusciti a dare un “perché” a quanto confusamente costruito nel quarto confezionando però un capitolo strutturalmente (e visivamente) più televisivo e piatto dei precedenti. Con il numero 6 si torna sulla retta via unendo una certa ispirazione nell’architettura delle trappole/torture a un ritmo notevole e – a sorpresa – a una caratura contenutistica che non ci saremmo aspettati.
Chi scrive è sempre e comunque convinto che finire al terzo film sarebbe stata la scelta narrativamente più azzeccata, ma visto che la serializzazione ha pagato e la Lionsgate ha deciso di “andare avanti”, incredibilmente sono riusciti a
rimanere su livelli medio-buoni anche con gli ulteriori sequel, costruendo così una seconda trilogia che ha sempre tenuto un saldo congiungimento con tutti i capitoli della saga, facendo si che i sei film possano essere visti come un’unica grande opera.
Marcus Dunstan e Patrick Melton, gli sceneggiatori dei capitoli 4, 5 e 6, hanno deciso di prendere a modello la prima trilogia scritta da Leigh Whannel e costruire la loro seconda trilogia sul modello della precedente. Dunque abbiamo avuto un quarto capitolo che rappresentava un nuovo inizio, con un nuovo Enigmista e la strutturazione di uno dei due colpi di scena finali simile a quella del primo film; “Saw V” sembrava seguire molto da vicino il modello di “Saw II”, con il gruppetto di persone intrappolate e messe costantemente alla prova sia per salvare la pelle che per trovare una forma di collaborazione. Dunque sembra scontato che il capitolo 6 ricalchi in qualche modo “Saw III”, e così è stato, dal momento che seguiamo la vicenda di un uomo, il viscido assicuratore William Easton, messo di fronte a importanti scelte in cui la vita di alcune persone è affidata alle sue decisioni.
Stavolta, però, la struttura del ‘one man show’ è alternata ai tentativi di Hoffman di insabbiare le prove contro di lui e alle rivelazioni – spesso sottoforma degli immancabili flashback – che riescono a far quadrare quegli elementi disseminati durante gli altri film.
“Saw VI” è dunque un film complesso e completo, ma allo stesso tempo divertente e ricco di ritmo. La varietà di trappole e torture che lo affollano – senza mai rubare la scena all’intreccio narrativo, fortunatamente – è tra le più inventive e crudeli viste in tutta la saga. Si comincia con una gara all’amputazione che in un crescendo di splatter cita anche “Il mercante di Venezia” di Shakespeare e si prosegue con macchinari schiaccia costole, impiccagioni, acido, vapore e un incredibile quanto crudele carillon umano.
A differenza dei capitoli precedenti “Saw VI” decide anche di lanciare, in modo neanche troppo velato, una critica al sistema sanitario americano fortemente legato al mondo delle assicurazioni, una forma di speculazione sulla stessa vita umana che in questo caso vede coinvolto personalmente John Kramer. Il grande piano dell’Enigmista assume così risvolti sempre più complessi, che raggiungono perfino le grandi falle istituzionali dell’America pre Obama. Il merito del film è di non buttar dentro contenuti “alti” solo per darsi un tono che spolveri via l’evidente alone di commercialità del franchise, ma di inglobare tali contenuti e di
farli propri, fulcro fondamentale della stessa narrazione senza mai tradire la vocazione splatter serializzativa dell’opera.
Qua e là si nota qualche incongruenza che immancabilmente al sesto film spunta fuori mascherandosi da “rivelazione” e la mole consistente di persone “in gioco” ci fa chiedere dove Hoffman trovi tempo e forza per rapire-trasporate-incatenare tutta quella gente senza che nessuno si accorga di nulla. Una richiesta di sospensione dell’incredulità che qui si fa un po’ troppo pretenziosa.
“Saw VI” comunque funziona. Malgrado la regia di Kevin Greutert (montatore dei precedenti capitoli e già alle prese con la regia anche del settimo film) sia standardizzata come di regola e gli attori – ad esclusione del sempre presente e professionale Tobin Bell – sguazzino nell’anonimato più assoluto, il film in questione è il migliore della “seconda trilogia”, diverte e convince.
Gli appassionati gradiranno, tutti gli altri si rassegnino al fatto che tra qualche mese arriverà il settimo – e forse ultimo – capitolo, per giunta in 3D!