RG
Roberto Giacomelli
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Le strade di Roma sono sconvolte da un terribile serial killer che uccide solamente donne e lascia sul loro cadavere un ciondolo d’argento a forma di mezza luna. Anche Giulia viene aggredita dal killer nel vagone di un treno, ma l’intervento del controllore non permette all’assassino di completare il lavoro. Nonostante la ragazza sia salva, la polizia decide di diffondere la notizia che Giulia ha perso la vita in seguito alle ferite riportate, così da salvaguardarla da un possibile nuovo attacco dell’assassino. Nel frattempo le vittime continuano e Mario, marito di Giulia, comincia ad indagare da solo sul caso.
Quando la dura legge del botteghino faceva si che i produttori italiani commissionassero una marea di gialli per battere il chiodo ancora caldo dei successi dei primi film di Dario Argento, anche Umberto Lenzi, apprezzatissimo tuttofare del cinema nostrano, si dedicò al genere dei serial killer e dei delitti. In realtà Lenzi, con “Orgasmo” , “Così dolce…così perversa” e “Paranoia” aveva già esplorato il territorio dei thriller all’italiana, anticipando di poco anche Argento, con una maggiore attenzione però per la componente erotica.
“Sette orchidee macchiate di rosso” è stato realizzato sotto la supervisione del produttore Lamberto Palmieri e della casa tedesca Rialto, che volevano espressamente un film su imitazione del
trittico animalesco argentiano. Così, a partire dal suggestivo titolo conforme alle regole del genere (colori, animali, o numeri presenti nel titolo per adescare e ammiccare al pubblico), Lenzi confeziona un film che coinvolge lo spettatore in un’indagine da giallo ben costruita e con un discreto colpo di scena finale, anche se purtroppo è decisamente carente sotto l’aspetto dell’originalità.
La sceneggiatura è scritta da Roberto Gianviti (in seguito impegnato al fianco di Fulci con “Sette note in nero” e “Murderock – Uccide a passo di danza”) e sfrutta molti dei cliché caratteristici del giallo all’italiana, tra cui il killer vestito di nero (spesso utilizzato in soggettive di evidente derivazione argentiana), l’indagine condotta in parallelo dalla polizia e da un privato destinato a sbrogliare il bandolo della matassa, la violenza preferibilmente eseguita su donne. La caratteristica introdotta da Lenzi è la notevole violenza esplicita presente nel film, non sempre
presente nei gialli di quel periodo e anticipazione di quello che sarà l’elemento più interessante di “Gatti rossi in un labirinto di vetro”, altro film firmato da Lenzi e di simile costruzione. A riguardo vanno poi sottolineate le ottime coreografie dei delitti, tra i quali va ricordato l’omicidio della ragazza inglese (interpretata da Marina Malfatti), quello della donna paranoica (Rossella Falk) e l’uccisione tramite trapano elettrico di Marisa Mell.
Il cast di “Sette orchidee macchiate di rosso” è ricco e composto da star di primo ordine, oltre alle già citate Malfatti (“La notte che Evelyn uscì dalla tomba”; “Tutti i colori del buio”), Falk (“La tarantola dal ventre nero”; “Nonhosonno”) e Mell (“Diabolik”; “Una sull’altra”), compaiono Antonio Sabato (“A tutte le auto della polizia”; “Poliziotti violenti”), nel ruolo del protagonista Mario, e Uschi Glas (“Alleluja e Sartana figli di…Dio”; “Black Beauty”), nel ruolo della vittima sopravvissuta Giulia.
Le musiche di Riz Ortolani sono ben condotte ma troppo poco memorabili.
Lenzi non ama particolarmente questo film, così come non apprezzerà più di tanto “Gatti rossi in un
labirinto di vetro”, a causa di una troppo invasiva partecipazione dei produttori alla confezione finale, anche se il regista ha sempre dichiarato di essere più che soddisfatto della scena che vede morire il personaggio interpretato da Rossella Falk, effettivamente realizzato ad arte e con un gran senso della suspense.
In conclusione, “Sette orchidee macchiate di rosso” non è sicuramente da annoverare tra i migliori gialli italiani dei gloriosi anni ’70, ne può essere considerato tra i lavori più riusciti di Lenzi, ma si tratta comunque di un film ben confezionato e con tanti elementi d’interesse per l’appassionato del filone. Da vedere.