The Signal backdrop
The Signal poster

THE SIGNAL

2007 US
July 13, 2007

A horror film told in three parts, from three perspectives, in which a mysterious transmission that turns people into killers invades every cell phone, radio, and television.

Directors

Dan Bush, Jacob Gentry

Cast

Anessa Ramsey, Justin Welborn, AJ Bowen, Scott Poythress, Sahr Ngaujah, Lindsey Garrett, Chad McKnight, Christopher Thomas, Matthew Stanton, Suehyla El-Attar Young
Horror Thriller Science Fiction
HMDB

REVIEWS (1)

RG

Roberto Giacomelli

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Nella città di Terminus improvvisamente scoppia il caos. Un misterioso segnale si inserisce su tutte le frequenze audio e video dei mezzi di comunicazione provocando in chi ne fruisce un’inarrestabile impulso di violenza. Sono testimoni di questa catastrofe gli amanti Ben e Mya: lei è sposata ma intrattiene una relazione con Ben, con il quale vorrebbe fuggire via da Terminus; ma quando suo marito Lewis scoprirà l’infedeltà della moglie, già accecato dall’ira infusagli dal segnale, farà di tutto per eliminare il suo concorrente e riprendersi la moglie. “The Signal” nasce come un esperimento: il suo nome di lavorazione era “Exquisite Corpse” ed era una sfida che tre amici registi si erano imposti, ovvero uno di loro cominciava una storia e gli altri due la portavano a termine passandosi di volta in volta il timone allo script e dietro la macchina da presa. Il risultato finale è, appunto, “The Signal” un insolito lungometraggio composto da tre parti (chiamate a tema “Transimissions”) che raccontano un’unica storia con i medesimi personaggi ma sotto tre differenti punti di vista – uno per ognuno dei personaggi principali - e con tre stili dissimili. A conti fatti il film si può considerare riuscito anche se non tutte le parti che lo compongono vanno ad amalgamarsi in maniera impeccabile. Lo spunto di partenza non ha troppa originalità, dal momento che la pazzia che avvolge le masse fino a spingerle alla distruzione è già stata esplorata più volte nel mondo del cinema a partire da “La città verrà distrutta all’alba” di Romero, passando per “Impulse” di Baker, fino al più recente “28 giorni dopo” e sequel; anche la causa scatenante della pazzia possiede alcuni predecessori, stavolta cartacei, nel recente romanzo di Stephen King “Cell” e soprattutto nell’albo n.5 di Dylan Dog “Gli Uccisori”. L’originalità del plot, dunque, non risiede certamente in questa pellicola, bensì ciò sul quale si può riporre maggiore interesse è la già citata struttura semiepisodica e alcune tematiche che vi vengono intrinsecamente affrontate. Se la critica alla pervasività dei mezzi di comunicazione e il loro potere “ipnotico” è abbastanza scontata, e tra l’altro sembra non essere al centro dell’interesse degli autori, ciò che emerge con più forza è la riflessione sulla crisi della coppia e il ruolo determinante che gioca in questo la paranoia. Il matrimonio è il primo legame a crollare, ancora prima che la follia prenda il sopravvento, scrivendo così un epitaffio sull’istituto che sta alla base della famiglia; un matrimonio apparentemente felice ma destinato alla rottura sta anche al principio del secondo segmento e anche in questo caso la morte, il tradimento – voluto o meno – e la fragilità del rapporto aleggia su ogni sentimento d’amore. L’amore dunque non risiede nella vita quotidiana, dominata dal malumore e dalla violenza, e può essere raggiunto dai protagonisti solo fuggendo fisicamente dai legami che li cementano ad un vita grigia che tende a perseguitarli. A questo punto è la paranoia a giocare un ruolo determinante poiché è il motore primario che spinge il villain di turno ad intraprendere una crociata contro i due amanti ed è anche il freno inibitore che viene abbattuto dal “segnale”. Come ci viene spiegato, infatti, il segnale non fa altro che accentuare l’indole paranoica insita in ognuno di noi scatenando incubi e allucinazioni che spingono i “contagiati” ad alterare lo stato degli eventi in base alle proprie paure/ossessioni interne, reagendo poi in difensiva. Risulta poi interessante lo strutturare in tre trasmissioni l’intera vicenda, anche se i tre segmenti non riescono sempre a legarsi con naturalezza ed efficacia. La vicenda è introdotta da un minifilm dalla resa molto “indie” e dalle caratteristiche rievocative di certo cinema anni ‘70 (“The Hap Hapgood Story” diretto da Jacob Gentry, uno del trio), che anticipa in modo molto marcato violenza e tortura che seguiranno, accentuandone, anzi, la gratuità. La prima trasmissione (“Crazy in Love”) è diretta da David Bruckner e può essere indubbiamente considerata la più riuscita. Qui viene apertamente citato certo cinema apocalittico di cui si è parlato sopra, puntando molto sul rapporto tra i personaggi e introducendo la dimensione intima della vicenda. Probabilmente il lavoro di “iniziare” la storia era il più semplice, però Bruckner, pur non inventando nulla, riesce a fare propri gli stereotipi e rielaborarli con una certa efficacia. Cosa che manca invece alla seconda trasmissione (“The Monster of Jealousy”) di Jacob Gentry che si tuffa immediatamente sui toni buffoneschi da commedia semidemenziale. L’improvvisa virata di toni però è così repentina da risultare intrusa nella vicenda e non si amalgama minimamente al tono apocalittico generale; se un paio di gag risultano comunque riuscite e l’uso della violenza viene stemperato dalle situazioni grottesche, questo può essere tranquillamente considerato il segmento meno riuscito. Il ruolo più difficoltoso però è toccato a Dan Bush (“Escape from Terminus”) che non solo doveva chiudere la vicenda in modo soddisfacente, ma doveva anche tornare a percorre toni più seri. Il passaggio stavolta è meno brusco e la vicenda si conclude comunque nel modo che un po’ tutti ci aspettiamo con un climax finale affidato ad uno scontro verbale piuttosto che fisico: una trasmissione senza infamia e senza lode che non stupisce ma neanche lascia delusi. Quel che delude maggiormente in “The Signal” è che, malgrado l’alternarsi alla regia di tre persone che adottano anche “generi” comunicativi differenti, il cambio dietro la macchina da presa non si nota mai veramente a livello visivo e purtroppo, sotto questo aspetto, il film ci propina una resa piuttosto piatta, quasi da tv movie, probabilmente data anche dall’esiguo budget. In definitiva, “The Signal” è un film che si lascia guardare volentieri, non stupisce troppo ma si può apprezzare per la voglia di voler sperimentare su una tematica trita e ritrita come quella che qui viene affrontata. Il voto è arrotondato per eccesso.

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