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Vincenzo de Divitiis
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I fratelli Becca e Tyler vengono costretti dalla madre a passare una settimana a casa dei nonni che non hanno mai conosciuto. La donna prende questa decisione per due motivi:riallacciare i rapporti con i genitori interrotti molti anni prima a causa di un amore tormentato, e il desiderio di passare una vacanza con il suo nuovo compagno senza avere i figli tra i piedi. Animati da una forte passione per il cinema e la musica, i ragazzini decidono di riprendere tutte le fasi di questo emozionante soggiorno con i due anziani i quali si dimostrano in un primo momento cordiali e molto ospitali. Ben presto, però, le amorevoli torte della nonna, i sorrisi rassicuranti e le premurose cure lasciano spazio a sinistri rumori notturni e strani atteggiamenti dei padroni di casa che insospettiscono i due giovani. Così, sfruttando le telecamere a loro disposizione e il collegamento Skype con la mamma, Becca e Tyle cercano di indagare su cosa sta accadendo nella villa, scoprendo però verità scomode ed inquietanti.
Si può ricavare un buon horror dallo stile found footage? Un interrogativo tanto semplice quanto scottante che fa discutere da anni gli appassionati, ormai irrimediabilmente divisi tra chi ne intravede una nuova strada per riscrivere il linguaggio del cinema horror e chi, al contrario, lo reputa soltanto una furba operazione commerciale per attirare pubblico a discapito del valore artistico. La verità come sempre sta nel mezzo e se da una parte vi sono una miriade di titoli di livello qualitativo infimo, dall’altra nessuno può negare che vi sono stati anche esempi di spessore come i primi due “Rec” a firma di Jaume Balaguerò o il discreto “Necropolis” di John Erick Dowdle.
Un’altra risposta positiva a questa domanda arriva da M. Night Shyamalan, autore da troppi anni in crisi di idee e reduce da clamorosi flop ai botteghini in serie, che realizza un mockumentary con la casa di produzione che può essere considerata la mamma di tale filone negli ultimi anni: la BlumHouse che qui per una volta cambia regista di riferimento puntando non più su un giovane da lanciare, bensì su una vecchia grande promessa a caccia di riscatto e nuova linfa. L’obiettivo appare raggiunto in pieno in quanto “The Visit” è un film fresco, ben scritto e, soprattutto, capace di racchiudere al suo interno diversi toni narrativi. C’è infatti l’horror fornitoci da numerose scene di suspense, il thriller che scaturisce dalle azioni dei due piccoli protagonisti volte a scopre cosa accade di notte nella casa e capire il mistero che celano i padroni della casa, una velata vena melò data dagli sporadici momenti di analisi introspettiva dei personaggi e le loro debolezze, ed infine la commedia.
Proprio l’elemento comico rappresenta uno dei maggiori punti di forza della pellicola e va rimarcato come esso si muova su due livelli. Il primo, più superficiale e per certi versi scontato, è caratterizzato da sketch ironici più immediati che rappresentano una componente importante in ogni horror per stemperare la tensione e concedere al pubblico una pausa tra uno spavento e l’altro.
Il secondo, invece, è decisamente più sottile con situazioni al limite del grottesco inserite nei momenti più impensabili, quasi come se Shyamalan si divertisse a smontare e rimontare a proprio piacimento gli stilemi classici del film dell’orrore e stupire così lo spettatore volta per volta. Uno sberleffo in piena regola fatto di intermezzi musicali e battute che solo l’innocenza di un bambino può produrre, unito al carattere scanzonato della madre in costante collegamento Skype. Il tutto senza mai cadere nel trash o nel volgare, cosa mai scontata in un periodo storico in cui le sale sono invase da prodotti in cui l’eccesso è la parola d’ordine.
Queste caratteristiche, tuttavia, non fanno sì che “The Visit” perda di vista il suo obiettivo primario e cioè quello di incutere paura e far saltare dalla sedia chi guarda. Anche in questo Shyamalan svolge alla grande il suo dovere e regala numerose scene di tensione grazie ad atmosfere oscure e claustrofobiche la cui buona resa trova nell’utilizzo della soggettiva un alleato quanto mai prezioso ed in linea con l’approccio stilistico del regista, da sempre contraddistinto da primi piani, sapienti inquadrature dal basso verso l’alto e dalla propensione a rendere spaventoso ciò che non è visibile e non soltanto quello che appare sulla scena. Da ricordare le sequenze delle apparizione notturne della nonna, il cui aspetto risente dell’influenza dei J-Horror, e il classico colpo di scena “alla Shyamalan” che rende più appassionante un finale degno di un film così ben congegnato.
Anche il cast si segnala per interpretazioni all’altezza della situazione con tutti gli attori bravissimi nei panni di personaggi molto vicini ad una favola nera con chiari rimandi alla storia di “Hansel e Gretel”. Gli esperti Deanna Dunagan e Peter McRobbie sono infatti perfetti coniugi disturbati mentalmente e misteriosi, così come i giovanissimi Olivia DeJonge e Ed Oxenbouls sanno calarsi alla perfezione nella parte e sanno adeguarsi ai diversi momenti della storia.
Insomma, “The Visit” è un horror con i fiocchi, dai toni scanzonati, un’opera divertente e divertita ma rigorosa nella messa in scena che può rappresentare per Shyamalan l’inizio di una risalita alle vette che gli competono.