Blood Trails backdrop
Blood Trails poster

BLOOD TRAILS

2006 DE
aprile 20, 2006

Anne e il suo ragazzo Michael se la stanno passando brutta. Dopo qualche anno manca ormai il brivido iniziale e fra lavoro e routine il rapporto di coppia comincia inevitabilmente a incrinarsi fino al punto in cui la ragazza accetta addirittura un appuntamento da uno sconosciuto, un poliziotto (Chris) che voleva farle la multa e finisce invece con il portarsela a letto. Ma il legame fra lei e Michael è troppo forte e alla fine Anne accetta la proposta del suo ragazzo: un fine settimana da passare in montagna, in una piccola baita, a stretto contatto con la natura, dedicando del tempo a se stessi e alla loro principale passione, la mountain bike.

Registi

Robert Krause

Cast

Rebecca Palmer, Ben Price, Tom Frederic, J.J. Straub, Kurt Rauscher, Johann Daiminger, Christian Heiner Wolf, Maximilian Boxrucker
Horror
HMDB

RECENSIONI (1)

MC

Marco Castellini

skull skull skull empty skull empty skull

Blood Trails

Anne e il suo ragazzo Michael sono in crisi sentimentale e la ragazza si concede, all’insaputa di Michael, una notte d’amore con uno sconosciuto, un passionale poliziotto. Con l’intenzione di restaurare il rapporto ormai in procinto di naufragare, Anne e Michael decidono di passare un weekend in una baita tra i boschi dedicandosi a lunghe escursioni in mountain bike. Ma il poliziotto-amante sta coltivando un’ossessione per Anne e segue la coppia in montagna, intenzionato a far sua per sempre la ragazza. Con “Blood Trails” siamo nel più collaudato territorio del survival horror, nella più topica situazione da thriller agreste con abbondante elargizione di violenza gratuita, insomma nel déjà-vu più spudorato. La provenienza geografica europea (Germania per l’esattezza) di questo film lo annette poi all’attuale trend che ha fatto emergere soprattutto la Gran Bretagna (“Wilderness”, “Broken”) e la Francia (“Alta tensione”, “Frontier(s)”) nel panorama horrorifico contemporaneo grazie ad una ormai ben riconoscibile commistione tra ambienti rurali e situazioni di sopravvivenza estrema. “Blood Trails” si inserisce dunque in questo sotto filone, senza aggiungere molto, ma attingendo a una tradizione cinematografica che ha radici ben lontane, soprattutto nei fastosi anni ’70. Ed è proprio al cinema (soprattutto americano) degli anni ’70 che “Blood Trails” sembra rifarsi con più insistenza, grazie alla narrazione di una storia minimalista e a una specifica resa estetica. La trama è semplice, scontata se vogliamo, la tipica situazione da survival in paesaggi rurali come ne abbiamo viste in “Le colline hanno gli occhi” o “Un tranquillo weekend di paura”, in cui l’essere umano è costretto a regredire e tirar fuori il suo lato più istintivo e animalesco per poter fronteggiare ad armi pari il “nemico”, una nemesi che in questo caso non appartiene all’ambiente estraneo e ostile in cui il protagonista si trova ad agire, ma anche lui è uno straniero in terra straniera che lo pone per alcuni versi vicino alla sua vittima. Il villain di “Blood Trails” è una sorta di cellula impazzita di un organismo sociale, un animale tenuto in cattività, capace di muoversi in ambiente urbano e rurale con uguale estrema naturalezza. La premessa che sta in nuce alla caratterizzazione del poliziotto possessivo e animalesco è dunque forse l’unico elemento di vera novità in questo film, però a conti fatti ne è anche il punto più debole. Se sulla carta lo psicopatico interpretato da Ben Price poteva funzionare bene, su schermo appare più che altro come un Michael Myers in tenuta sportiva, onnipresente e un po’ fuori contesto, al quale forse sarebbe stato preferibile perfino il più classico e rodato bifolco arrapato. Sul versante opposto troviamo una vittima stereotipatissima, una donna insicura, interpretata in modo convincente da Rebecca Palmer, che riesce a mostrare la sua personalità solo quando è l’istinto di sopravvivenza a dettare le regole. Un agnello che quando la situazione lo richiede riesce a tirar fuori le zanne da lupo, apparendo non troppo distante dal suo carnefice. Dunque, sembrerà un paradosso, ma “Blood Trails” funziona bene proprio nel suo essere poco originale e, quando tenta di portare innovazioni, non convince molto. Molto buona la prova registica di Robert Krause (anche sceneggiatore), che riesce a donare personalità al film grazie a un uso ricercato di inquadrature e di zoom che, uniti al montaggio spesso concitato di Wolfgang Bohm e Richard Krause, danno al film un senso di isteria e allucinazione. Notevole anche la fotografia di Ralf Noak che, grazie a toni spenti e tramonteggianti, riesce a costruire un’atmosfera dark e opprimente malgrado il film sia quasi interamente ambientato alla luce del sole. Ottimi gli scenari naturali che fanno da scenografia al film. Insomma, “Blood Trails”, pur non raccontando nulla di nuovo, appare come un solido e ben realizzato survival horror, apprezzabile ancora di più se si tiene in considerazione che si tratta di un’opera indipendente realizzata con un budget molto modesto.