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Roberto Giacomelli
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Metzengerstein. La contessa di Metzengerstein, donna avida e viziata, uccide accidentalmente il cugino di cui era innamorata. Il rimorso per l’azione commessa la spinge al suicidio, ma improvvisamente giunge al castello un cavallo selvatico che sembra avere un’intesa particolare con la sola contessa.
William Wilson. William Wilson, si distingue fin da piccolo per cattiveria e crudeltà, ma un giorno arriva al collegio un bambino con lo stesso nome e con lo stesso aspetto fisico di William. Divenuto un ufficiale dell’esercito tedesco, William continua ad essere perseguito dalla presenza del suo doppio che rovina tutti i suoi progetti.
Toby Dammit. Un attore inglese con problemi di alcolismo si reca a Roma per girare un film. Ma fin dall’aeroporto comincia ad avere delle allucinazioni, che hanno per protagonista una strana ragazzina che gioca a palla.
Film a episodi diretto da tre grandi registi europei, che si ispira a tre storie di Edgar Allan Poe. I tre episodi non sono legati da alcun filo conduttore ( a differenza della maggioranza di questo tipo di pellicole ) e si rivelano abbastanza fedeli alle opere di Poe, a parte l’episodio di Fellini, che oltre ad essere ambientato nella Roma del ’67, stravolge anche l’intreccio, trasformando l’intera storia in un discorso metacinematografico sull’industria culturale dei generi. Questo episodio, ricavato da “Non si scommette la testa con il diavolo”, ha una grandissima forza visiva, grazie soprattutto alla suggestiva fotografia di G. Rotunno, e riesce a rendere partecipe lo spettatore della confusione e dell’inquietudine che popolano la mente del protagonista, ma purtroppo l’intreccio narrativo è troppo debole e la trama sembra quasi un pretesto per un semplice esercizio di stile e per una facile critica felliniana al cinema popolare ( a Toby Dammit viene proposto di interpretare un ruolo in un western a sfondo religioso, chiaro sbeffeggiamento ai generi più commerciali che Fellini aveva sempre evitato ). L’episodio diretto da Roger Vadim, “Metzengerstein”, è tratto dall’omonimo racconto, ma risulta essere il più debole dei tre ( in fin dei conti anche il racconto da cui è tratto è uno dei meno ispirati del grande scrittore americano ); si avvalora della presenza di Jane Fonda nel ruolo della contessa e di accattivanti costumi che mescolano lo stile medievale con la moda anni ’60, ma per il resto risulta piuttosto noioso e inconcludente.
Il secondo episodio, “William Wilson”, diretto da Louis Malle, è forse il più riuscito, sia per fedeltà narrativa all’omonimo racconto di Poe, sia per la diligenza con cui è stato svolto. La storia ambigua del tormento reale o semplicemente interiore del protagonista ( interpretato ottimamente da Alain Delon ) è resa al meglio e la riflessione sul doppelganger si fa qui allo stesso tempo inquietante e affascinante.
In conclusione “Tre passi nel delirio” è un operazione riuscita solo in parte: da un progetto che univa le storie di uno dei maggiori esponenti del panorama horror letterario e tre grandi registi dalla fama internazionale, ci si sarebbe sicuramente aspettato qualche cosa di più; invece si ci trova di fronte a tre mediometraggi che vanno dal mediocre ( Metzengerstein ), al buon prodotto ( William Wilson ), passando per quello da cui ci si attendeva di più ma che lascia un senso di incompletezza ( Toby Dammit ). È evidente che l’intera operazione è stata semplicemente svolta su commissione. Un’occasione mancata.
Curiosità: nell’episodio diretto da Fellini compare continuamente una ragazzina bionda e vestita di bianco che gioca con una palla, una figura chiaramente ripresa dal personaggio di Melissa Graps, la bambina fantasma del bellissimo “Operazione paura” che Mario Bava aveva diretto un anno prima. Fellini non lo ha mai ammesso, anche se la moglie, Giulietta Masina, anni dopo rivelerà il plagio.