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Vincenzo de Divitiis
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Janet è decisa ad andare via di casa e, pur di realizzare il suo sogno di essere indipendente, accetta il primo appartamento che le viene proposto senza pensarci due volte, nonostante gli inviti di sua sorella Lara a valutare meglio le diverse opzioni. Quest’ultima rimane, invece, a vivere con la mamma, una ex cantante in cerca di rilancio, con cui il difficile rapporto sfocia spesso in violenti litigi causati anche da un uso eccessivo di alcool da parte della donna. Intanto Janet prende possesso della nuova casa ma, fin dalla prima notte, strane presenze sembrano aleggiare tra le mura domestiche e il giorno successivo la giovane si suicida buttandosi dal balcone, almeno in apparenza. Quando Lara , infatti, indaga sulle cause della morte della sorella minore, scopre grazie all’ausilio di Mark, l’ex fidanzato di Janet, e di un tenente di polizia che le precedenti proprietarie erano andate incontro allo stesso destino. Di qui parte una ricostruzione che rivelerà una verità terribile legata al passato della casa.
La scena horror contemporanea americana appare ormai suddivisa in due tronconi: da un lato vi sono registi come James Wan, Eli Roth, Rob Zombie che hanno saputo creare una propria cifra stilistica ben chiara e riconoscibile, riuscendo a raccontare con originalità storie già trite e ritrite; dall’altro, invece, vi è una folta schiera di autori che, per motivi
commerciali o per mancanza di idee, preferiscono attingere da opere europee ed orientali per dar vita a remake il più delle volte scialbi e deludenti. Questa volta è il turno di Micheal Taverna attingere dalla fonte inesauribile del cosiddetto “J-Horror” e proporre un rifacimento americano di “Apartment 1303” di Ataru Oikama. Il suo “1303”, uscito nelle sale italiane con un ritardo di circa due anni e proiettato anche in 3D, risulta una pellicola molto deludente per via di una regia priva di spunti e di trovate originali che non riesce a rinvigorire un modello di riferimento alquanto mediocre.
Grazie alla sue esperienza di produttore di numerosi horror, Taverna dimostra di essere in pieno possesso di tutti gli stilemi del genere volti a creare il facile spavento. Scricchiolii di porte, rumori sinistri e voci di bambini si alternano sulla scena senza però acquisire il ritmo e il mordente necessario per infondere allo spettatore la giusta dose di paura e di tensione. Tutto sembra fin troppo visto e rivisto e anche la fotografia si dimostra
poco funzionale, al pari del commento musicale, vista la tendenza ad essere eccessivamente chiara anche nei momenti in cui gli spettri si manifestano, o almeno dovrebbero, in tutto il loro aspetto e ferocia.
Dal punto di vista della scrittura la storia ricalca quasi fedelmente il film di Oikama, con l’aggiunta di una maggior cura nell’analisi del rapporto tra Lara e una madre che viene presentata molto meno matura della figlia. Dopo un inizio incoraggiante, però, il plot si appiattisce anche a causa di una serie di
personaggi piuttosto stereotipati, su tutti quello dell’immancabile belloccio monoespressivo di turno Mark (interpretato da Corey Sevier) pronto a tutto pur di aiutare la protagonista a scoprire la verità. Le uniche note liete provengono dalle figure delle due bambine, che oltre a risultare le uniche ben inserite all’interno del tessuto narrativo, ricordano per il loro aspetto, seppur vagamente, la ragazzina di “Operazione Paura” di Mario Bava, soprattutto nella capigliatura e nell’utilizzo della pallina come gioco.
I numerosi buchi di sceneggiatura rappresentano punti deboli dei quali non possono non risentirne un cast non all’altezza della situazione e composto dall’ex stella della serie tv per teenagers “The O.C.” Mischa Barton (nei panni di Lara), Julianne Michelle (nel ruolo di Janet) e da una Rebecca De Mornay che conferisce un carattere fin troppo caricaturale alla madre delle due protagoniste.
Possiamo dire, in conclusione, che “1303” è un’opera che può in parte soddisfare gli stomaci dei cinefili occasionali ma non di certo i palati fini dei cultori del genere.