RG
Roberto Giacomelli
•
Norristown, Pennsylvania. E’ il 1973 quando la quattordicenne Susie Salmon viene brutalmente assassinata e il suo cadavere occultato dal signor Harvey, il suo vicino di casa. Susie finisce in un limbo e in attesa di un passaggio verso il paradiso osserva ciò che succede sulla Terra e in particolare ai suoi familiari. Suo padre è alla disperata ricerca del killer, sua madre va via di casa distrutta dal dolore e sua sorella sembra essere diventata il prossimo obiettivo del signor Harvey.
Dopo la visione di “Amabili resti” viene da riflettere su come sia raro – se non del tutto impossibile – trovare una rappresentazione efficace dell’aldilà nelle opere cinematografiche. Dipingere l’Inferno è più semplice – e infatti se ne contano esempi più riusciti – sia che si voglia puntare sull’inquietudine darkegginate, sulla normalizzazione o su una dimensione del tutto fanta-mostruosa, ma rendere per immagini il Paradiso sembra davvero impresa destinata a rimanere incompiuta. Abbandonate le ingenue locations affollate da candide nuvole e cancelli dorati che una volta prefiguravano l’immaginario collettivo paradisiaco (ormai destinate ai soli spot del caffè), da qualche anno a questa parte si tende a dare dell’aldilà ascensionale una raffigurazione quasi new age, fatta di colori pastello, luci aurorali e simbolismi zen. Non sfugge alla tendenza inaugurata e sublimata dal dantesco “Al di là dei sogni” di Vincent Ward anche l’ultima opera di
Peter Jackson, questo “Amabili resti” che si mostra come un film dall’identità confusa e portatore di colpevoli carenze strutturali.
A dire il vero “Amabili resti” non ci mostra il Paradiso ma semplicemente un limbo, una porzione di cielo – come la chiama la protagonista della vicenda – che funge da anticamera al Paradiso vero e proprio in cui è diretta Susie Salmon, la ragazzina assassinata. Ma la differenza non è sostanziale e le alla lunga stucchevoli scene che mostrano Susie intenta a passeggiare lungo spiagge in cui vanno ad arenarsi velieri imbottigliati, correre attraverso immensi campi di grano, pattinare su laghi ghiacciati sotto i quali sbocciano fiori o sognare di essere una modella risultano un punto a sfavore del thriller-fantasy di Peter Jackson. Sotto l’aspetto puramente visivo non c’è nulla da dire, si abusa in simbolismi scontati, ok, ma la potenza di alcune scene è indubbia e l’accostamento di una vicenda cruda con le fantasie delicate e vellutate di una giovane vittima ha il suo fascino, ma si ha la sensazione
che quella che doveva essere la particolarità di questo film, l’elemento che dovrebbe distinguerlo da tanti altri thriller, alla fine risulti il grande intruso in un film che senza di esso sarebbe stato senza dubbio migliore. Questo vuol dire aver fallito e per Peter Jackson, per quel che mi riguarda, sarebbe la prima volta in una carriera fatta di film decisamente invidiabili.
“Amabili resti” – trasposizione dell’omonimo romanzo di Alice Sebold – inizia come un thriller di ottima fattura, descrivendo la vita ordinaria di una quattordicenne e della sua famiglia agli inizi degli anni ’70. La scuola, le prime cotte, il rapporto altalenante ma comunque positivo con i familiari, una classica panoramica sul mondo adolescenziale che ci viene narrata in modo sobrio e appassionante, per di più supportata da un cast di prim’ordine composto da Mark Whalberg (“Max Payne”), Rachel Weisz (“La mummia”), Susan Sarandon (“Thelma & Louise”) e soprattutto la giovane Saoirse Ronan (“Ember – Il mistero della città di luce”). Poi entra nella vicenda l’ombra, il male rappresentato dal serial killer interpretato da un magnifico Stanley Tucci (“The Terminal”; “Era mio padre”), l’uomo qualunque dall’aspetto anonimo e bonario che nasconde un animo perverso e sadico, pedofilo e assassino. Fin qui ci troviamo di fronte a delle ottime premesse, avvalorate, tra l’altro, da una regia curatissima che ci fa apprezzare Peter Jackson qui ancor più che quando è alle prese con battaglie, creature digitali e scene d’azione.
Purtroppo poi il film si fa pasticciato,
s’accartoccia su se stesso con l’inserimento dell’elemento fantasy che non si è riuscito a ben integrare con la vicenda. Le scene che riguardano Susie nell’aldilà sembrano quasi appartenere a un altro film, soprattutto non è ben chiaro che influenza abbia la ragazza sul mondo dei viventi; sembrerebbe una semplice osservatrice – il che sarebbe la scelta ottimale – ma Jackson ci tiene a rovinare la ‘magia’ inserendo in modo goffo e del tutto stonato degli interventi della ragazzina sul mondo reale (qualcuno la vede, qualcuno la sente…) che raggiungono l’apice nel pessimo climax finale che sembra voler riecheggiare in modo del tutto gratuito il “Ghost” di Jerry Zucker. Alcune svolte narrative, poi, appaiono troppo frettolose se non addirittura caratterizzate da facilonerie traducibili in ‘buchi di sceneggiatura’, e mi riferisco soprattutto al modo in cui i Salmon cominciano a sospettare del loro vicino di casa. L’inserimento di alcuni personaggi mal caratterizzati (la ragazza sensitiva), banali (il fidanzatino) o addirittura ridicoli (Holly, la ragazza simil Virgilio che fa compagnia a Susie nel limbo) completano il quadro di un film che presenta troppe pecche per essere promosso. Ed è un peccato perché ci sono anche tanti altri elementi positivi, come quelli su elencati, che purtroppo però tendono a passare in secondo piano in un film che a conti fatti non è ne carne ne pesce.