Nelle verdi praterie neozelandesi, la centenaria fattoria Glenolden è ora gestita dai fratelli Angus e Henry Oldfield. Angus, allo scopo di migliorare le condizioni di vita dei vari contadini, effettua degli studi scientifici da applicare all'agricoltura. Gli esperimenti sfuggono al suo controllo e trasformano le innocue pecore della fattoria in bestie assassine assetate di sangue.Il fratello di Angus, Henry, che vive lontano dalla fattoria a causa una fobia proprio nei confronti degli ovini, torna per vendere la sua parte di fattoria, essendo all'oscuro di quello che sta succedendo.Henry, assieme al fattore Tucker e all'animalista Experience, dovrà trovare il modo di uscire da questo incubo, lottando con ogni mezzo per difendersi da quelli che una volta erano animali mansueti e ora sono mostri il cui morso può avere effetti mostruosi.
Cast
Nathan Meister, Peter Feeney, Danielle Mason, Tandi Wright, Min Windle, Tammy Davis, Glenis Levestam, Oliver Driver, James Ashcroft, Ian Harcourt
Nuova Zelanda. Henry Oldfield torna nella fattoria di famiglia per vendere la sua parte di proprietà al fratello maggiore Angus. Henry vive in città da molti anni poiché soffre di ovino fobia, paura delle pecore, mentre Angus conduce un laboratorio di genetica nella vecchia fattoria di famiglia dove fa esperimenti proprio sugli ovini. Due ambientalisti si introducono però nei laboratori di Angus e liberano uno strano agnellino tenuto sotto formaldeide, non sapendo che quell’animale rappresenta uno degli esperimenti falliti. L’agnellino morde una delle migliaia di pecore che pascolano nella pianura e da quel momento si diffonde un pericoloso contagio che rende gli animali più innocui della terra in carnivori assetati di sangue. Malgrado la sua innata paura, toccherà proprio ad Henry affrontare il problema delle pecore assassine.
Se sono riusciti a trasformare in assassini i conigli (“La notte della lunga paura”), i criceti (“Attack of the killer shrews”) e addirittura le lumache (“Slugs”) non ci si dovrebbe stupire più di tanto se anche le mansuete pecore siano finite nella lunga lista degli improbabili predatori da beast movie. La singolare idea è stata partorita e realizzata in Nuova Zelanda, sonnacchiosa terra colma di verde in cui le pecore rappresentano una delle maggiori fonti di guadagno dell’economia locale. Carne, lana, latte: 40 milioni di esemplari circa che quotidianamente brucano indisturbate l’erba dei numerosi pascoli. Ma se quello che per i contadini neozelandesi è l’animale più familiare si trasformasse nella principale minaccia da temere?
Jonathan King parte da questo semplicistico assunto per dar vita ad uno strampalato ma divertente beast movie che destreggia con abilità splatter e ironia.
La fonte d’ispirazione per il regista di “Black Sheep” è dichiaratamente il cinema degli esordi del suo connazionale Peter Jackson, lo splatter demenziale di “Bad Taste” e “Splatters – Gli schizzacervelli”, ma King tenta di ridurre la componente demenziale dei lavori del suo “maestro” per addentrarsi nel sentiero della commedia leggera, che gioca sui dialoghi brillanti piuttosto che sugli eccessi visivi, pur concedendosi qualche parentesi pecoreccia (è proprio il caso di dirlo!) fatta di peti e accoppiamenti “bestiali”. Il maggior merito di questo film è proprio l’equilibrio con cui commedia e horror riescono a convivere senza far prevalere di troppo l’una sull’altra, rappresentando così uno dei migliori esempi visti negli ultimi anni in cui i due generi riescono a convivere con naturalezza.
Un altro grande punto a favore di “Black Sheep” sono i magnifici effetti speciali realizzati con la collaborazione della WETA, casa di sfx artefice
delle creature viste nella trilogia di “Il signore degli anelli”. I numerosi effetti speciali di questo film sono al 99% artigianali (l’1% di digitale è utilizzato per aumentare il numero delle pecore che popola un numeroso gregge che si dirige furioso verso i protagonisti), protesi ed effetti meccanici realizzati in vecchio stile che danno vita a effetti splatter di prim’ordine e a raccapriccianti trasformazioni che ricordano (volutamente) la famosa metamorfosi da uomo a lupo vista in “Un lupo mannaro americano a Londra”. Già, perché se nel film di Landis si poteva parlare di lupi mannari, in “Black Sheep” irrompono sorprendentemente delle pecore mannare, protagoniste di alcune delle scene migliori del film.
Ma come spesso accade, anche in “Black Sheep” non tutto può far gridare al miracolo e allora ecco una serie di difetti che si fanno notare con buona evidenza. La sceneggiatura è un semplice pretesto per poter portare in scena le pecore assassine, ed ecco che l’intero film si regge su luoghi comuni che vanno dall’esperimento genetico andato a male al trauma infantile del protagonista, dagli ambientalisti portatori di guai all’assedio finale simil-Romero. Scelte che in un certo senso potrebbero anche essere giustificate dall’intento ironico e quasi parodistico dell’operazione, ma che poi si rivelano reali sentori di fragilità
narrativa quando si conoscono i personaggi, privi di qualunque rilevanza psicologica che vada oltre l’eroe imbranato, il cattivo senza scrupoli e la spalla comica. Gli stessi attori impegnati nel progetto non si faranno di certo ricordare per capacità recitative e anche la regia di King, che proviene dalla pubblicità e dai videoclip musicali e qui al suo esordio con un lungometraggio, è meno curata di quello che ci si potrebbe aspettare.
“Black Sheep” diverte e ha molte probabilità di scavarsi un posticino tra i molti film cult che affollano l’universo del cinema di genere. Con maggiore cura, soprattutto a livello di scrittura e di casting, il risultato sarebbe potuto essere di gran lunga superiore, ma comunque il risultato vale sicuramente il prezzo del biglietto.