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Roberto Giacomelli
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Audrey, la figlia del dottor Sanderson, morto per mano di un assassino seriale che si spacciava per l’Uomo nero, scopre degli appunti del padre in cui vengono avanzate delle ipotesi sulla reale esistenza dell’entità malefica conosciuta come Uomo nero. Da quel momento Audrey viene perseguitata da uno strano essere che riesce ad ucciderla. Sul luogo del delitto è però presente Sarah, la coinquilina e migliore amica di Audrey, che confida ai suoi amici di aver visto l’Uomo nero compiere l’omicidio. Nel campus universitario in cui vive e studia Sarah cominciano a succedere strani eventi e gli studenti muoiono uno dopo l’altro, così si diffonde tra i giovani la paura dell’Uomo nero… e questa creatura si nutre proprio della paura delle sue vittime.
Che saga disastrosa quella dell’Uomo nero!
Nel 2005 Stepehen Kay dirige un horror sulla paura del buio semplicemente brutto e poco ispirato, due anni dopo Jeff Betancorut realizza un sequel che si rivela uno scialbo e prevedibilissimo slasher, ora l’Uomo nero torna per la terza volta e i risultati non cambiano con un “Boogeyman 3” che sprofonda nel ridicolo involontario, morte di ogni film horror.
Già dal secondo film la saga era approdata al direct-to-video (anche se la distribuzione italiana ci propinò “Boogeyman 2” al cinema), il che è spesso sinonimo di abbassamento qualitativo, e con un progenitore come “Boogeyman” c’era davvero da star preoccupati. Il pronosticato decadimento di qualità è quasi impercettibile (ma c’è!) e in questo terzo episodio si fa sempre più evidente.
Al timone di “Boogeyman 3” c’è una garanzia di ‘ciofeca’, ovvero quel Gary Jones che in carriera ha perle del trash come “Spiders – Metamorfosi letale”, “Jolly Roger” e “Crocodile 2”, dunque un nome che è già tutto un programma. La sceneggiatura, invece, è del “genio” che aveva già scritto il secondo capitolo, Brian Sieve, che cerca di costruire un filo di connessione proprio con il precedente film da cui deriva l’eredità del dottor Sanderson, che era interpretato da Tobin ‘Jigsaw’ Bell (che qui appare solo in foto). Da un incipit che collega i due film, si prosegue poi su una storia del tutto nuova e autonoma che cerca di unire le suggestioni paranormali del primo capitolo alla costruzione a body-count del secondo. Uno slasher soprannaturale come ne esistono a bizzeffe, anzi particolarmente mal realizzato. Se da una parte troviamo una resa estetica che appare insolita per gli standard di Gary Jones – ma qui c’è una produzione targata Sam Raimi, quindi un pochino più consistente in confronto a quelle con cui è abituato a lavorare il regista -, per il reso c’è un poco fantasioso slasher che porta in scena personaggi del tutto anonimi che muoiono in modo che vorrebbe apparire fantasioso, ma appare anonimo anch’esso. Non ci si sforza neanche a ravanare nello stagno degli stereotipi, si portano in scena solo personaggi che non sono tali, figure senza dimensione di cui ci si dimentica subito volto e ruolo. Ok, voi direte “ma che ti aspettavi
da ‘Boogeyman 3’?”. Di certo nulla che potesse aspirare a una valutazione superiore al mediocre, ma veder sfilare su schermo personaggi così evanescenti da non riconoscerli da un’inquadratura all’altra è davvero sconcertante.
Passiamo al reparto body-count. Le morti vorrebbero essere fantasiose, perché si sa, dopo “Final Deastination” e “Saw”, la gara alla morte più “figa” è sempre accesa – giustamente, per prodotti di puro intrattenimento – ma in “Boogeyman 3” il tutto si rivela una bolla di sapone. C’è il tizio infilzato con il bong per il fumo, quello che viene risucchiato in una valigia, la tizia messa dentro una lavatrice…ste cosette qui, insomma, con l’utilizzo della dose minima – quasi impercettibile – di gore, che si fa più presente giusto nella sequenza della lavanderia.
Discutibilissima la scelta di brutti effetti digitali per la realizzazione di cose che sarebbero venute cento volte meglio se realizzate con effetti caserecci (su tutto gli schizzi di sangue). Anche il look dell’Uomo nero è un po’ così; sicuramente migliore di quello visto nel primo film, ma comunque decisamente anonimo ed erroneamente mostrato troppo chiaramente fin da subito.
Il grande errore di Gary Jones è stato quello di non puntare affatto sulla costruzione della tensione, che in un film che parla di paure infantili e terrori notturni sarebbe stata una scelta quasi obbligata. Invece nulla. In quel paio di scene su cui si tenta la carta della suspense con l’entrata in scena “caricata” del mostro la
gestione dei tempi non appare minimamente adeguata. In compenso Jones realizza delle ottime scene comiche – la colpa però è dello scrip! – in cui masse di studenti vocianti si lamentano di tanto in tanto di aver paura dell’Uomo nero. Scenette francamente patetiche che difficilmente si riescono a prendere sul serio, anzi provocano lo sghignazzo dello spettatore.
Ci si augura che un “Boogeyman 4” non veda mai luce perché davvero non avrebbe senso continuare una saga così brutta e mal concepita. L’unica cosa che dispiace è veder sprecata per ben tre volte la figura mainstream dell’immaginario orrorifico infantile, dalla quale si sarebbe potuto tirare fuori un qualche cosa di memorabile. Ma accontentiamoci di quello che ancora oggi è l’Uomo nero più riuscito della storia del cinema, Freddy Krueger, di cui il peggior film appare sempre tre spanne sopra qualsiasi “Boogeyman”.