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Roberto Giacomelli
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Agnes sta cercando di uscire da un passato difficile caratterizzato dalla misteriosa sparizione di un figlio e dalle violenze del marito, ora rinchiuso in carcere. Una sera la donna conosce Peter, un veterano della Guerra del Golfo, con il quale instaura una relazione. Nel frattempo il marito si Agnes è uscito dal carcere, ma il vero problema è proprio Peter, ossessionato da invisibili insetti e da cospirazioni governative.
William Friedkin è famoso per quello che ancora oggi è considerato uno degli horror più terrorizzanti della storia del cinema, “L’esorcista”, eppure Friedkin ha esplorato l’universo dell’horror cinematografico una sola altra volta nella sua carriera con l’inquietante “L’albero del male”, dedicandosi più che altro con il linguaggio del poliziesco e con le mille sfaccettature del thriller. Ora, con una distribuzione assai limitata (da noi il film è uscito solo in home video), compare “Bug” che pur non essendo affatto un horror, gli si avvicina più che ad ogni altro genere, vista la sfuggevolezza con cui può essere etichettato un prodotto tanto strambo e complesso.
Bisogna fare un premessa: “Bug” non è un film per tutti, ha molte probabilità di non piacere, dal momento che non segue l’iter standard della narrazione cinematografica. “Bug” è statico, procede per accumulo ma di fatto non si muove mai; “Bug” ha dei personaggi con cui è impossibile immedesimarsi (a meno che non siate del tutto suonati) e fa di tutto per renderceli in-credibili; “Bug” ruota attorno al nulla pratico e al tutto metaforico, portando lo spettatore all’esclusivo coinvolgimento cerebrale…
caratteristiche queste che sicuramente non si prestano al plebiscito di apprezzamenti. Eppure “Bug” ha dei picchi di genialità e degli spunti di intelligenza analitica che lo rendono un film che andrebbe visto assolutamente da tutti, anche se poi dovesse finire in una ipotetica personale lista nera.
Partiamo con il giustificare la staticità d’azione del film di Friedkin nel fatto che si tratta della trasposizione cinematografica dell’omonima pièce teatrale di Tracy Letts, che nel film riveste il ruolo di sceneggiatrice. L’azione è quasi completamente consumata tra le quattro mura di un una stanza d’albergo, l’abitazione di Agnes, che da semplicemente squallida diventa prima repellente (la carta moschicida ovunque), poi asettica (la carta stagnola che riveste tutto). In questo senso il lavoro fatto dallo scenografo Franco Carbone è esemplare ed esplicativo sulla valorizzazione massima e funzionale di un unico, ristretto, set. Al di là della location e dell’evoluzione della storia che si concentra esclusivamente sull’esasperazione di un singolo evento, la narrazione si fa dinamica grazie alla riuscita caratterizzazione dei due personaggi principali, due “alieni” che portano in se una grande varietà di sfaccettature della degenerazione mentale. Paranoici, schizofrenici, sociopatici, depressi, masochisti…Agnes e Peter, magnificamente interpretati da Ashley Judd (“La tela
dell’assassino”; “High Crimes – Crimini di stato”) e Michael Shannon (“Onora il padre e la madre”; “Revolutionary Road”) appaiono come la de-evoluzione estrema del cittadino americano votato all’american dream. Lui è un reduce della Guerra del Golfo e, come tradizione vuole, servire lo Stato gli è costato caro, Peter infatti ha la mente completamente sconvolta da teorie fanta-politiche che lo vorrebbero al centro di un complotto atto al controllo dei cittadini: milioni di insettini, afidi che si muovono sotto la pelle delle persone e che hanno il potere di segnalare ogni movimento. Ma Peter ha scoperto tutto e dunque va eliminato, Peter è un “bug” di sistema che va cancellato onde evitare il collasso generale. Michael Shannon dà una prova d’attore molto valida che forse gli è stata facilitata dal fatto di aver più volte interpretato questo personaggio al teatro. Ma la vera mattatrice della pellicola è Ashley Judd, qui probabilmente alla sua migliore performance attoriale di sempre, che dà il volto sgualcito e il corpo estremamente sexy alla sofferta Agnes, una ex-madre e una ex-moglie schiava dell’alcool e della cocaina che si mostra una mente perfettamente ricettiva per le teorie paranoiche di Peter.
L’assunto finale in cui i due trovano consapevolezza della proprio rinnovata funzione all’interno del “sistema” è un perfetto esempio di genio e follia.
Gli eccessi di violenza che caratterizzano la seconda parte del film e che vedono intenti i due protagonisti nella modificazione del proprio corpo e nell’annullamento di quello altrui ha un sapore molto cronenberghiano, comunque aleggiante a più riprese sull’opera anche a livello più puramente contenutistico.
L’unico difetto che, in definitiva, si potrebbe imputare a “Bug” è il troppo tempo dedicato all’introduzione della situazione che prende l’argomento troppo alla larga, portando lo spettatore a non comprendere immediatamente in che territori voglia giocare l’autore. Per il resto un “bravo” a Friedkin che ci ha donato una delle opere più folli e deliranti degli ultimi anni.
Il voto è stato arrotondato per difetto.