Calvaire backdrop
Calvaire poster

CALVAIRE

2005 BE
March 9, 2005

A few days before Christmas, traveling entertainer Marc Stevens is stuck at nightfall in a remote wood in the swampy Hautes Fagnes region of Liège when his van breaks down. An odd chap who's looking for a lost dog then leads Marc to a shuttered inn.

Directors

Fabrice Du Welz

Cast

Laurent Lucas, Jackie Berroyer, Jean-Luc Couchard, Philippe Nahon, Philippe Grand'Henry, Jo Prestia, Marc Lefebvre, Alfred David, Alain Delaunois, Brigitte Lahaie
Horror
HMDB

REVIEWS (1)

RG

Roberto Giacomelli

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Marc Stevens è un cantante di ritorno da un’esibizione in una casa di riposo; durante il tragitto, il suo furgone si guasta nel bel mezzo della foresta, così Marc decide di cercare riparo in una locanda poco distante. Il signor Bartel, proprietario della locanda, si mostra subito molto gentile e disponibile, ma dietro il suo aspetto tranquillo e malinconico, si nasconde uno psicopatico: Bartel, infatti, sequestrerà Marc scambiandolo per la donna che in passato ha amato e che l’ha abbandonato e lo sottoporrà ad ogni tipo di sevizia. Distribuito in Italia direttamente per il mercato dell’home video, “Calvaire” è una di quelle piccole opere d’esordio destinate a non passare inosservate. Il giovane belga Fabrice Du Welz raccoglie molti cliché del cinema di spavento postmoderno, soprattutto di nazionalità europea e statunitense, e mette su una storia a metà tra la follia più manifesta e il disturbante, creando così un film che ha una personalità e un’originalità propria malgrado gli evidenti rimandi a classici del genere. Uno dei maggiori pregi di “Calvaire” è la valorizzazione delle scenografie naturali, costituiti dai desolati paesaggi boschivi di un Belgio avvolto dalla neve e dalla tristezza, capaci di riflettere le emozioni e le sensazioni di folle estraniamento in cui si trovano a vivere i personaggi della vicenda. Se da una parte è esemplare voler dar vita a personaggi completamente fuori dagli schemi, dall’altra questo estremo surrealismo nella costruzione caratteriale dei protagonisti cozza in modo evidente con il realismo della messa in scena: il folle Bartel (interpretato da un ottimo Jackie Berroyer) è il riflesso dello sconvolgimento interiore di un uomo che ha perso tutto nella sua vita e si trova a gestire una locanda sperduta nel nulla, in cui nessuno mette piede da anni, un moderno Norman Bates che riconosce la donna amata e perduta perfino in un viandante, mostrando così che la percezione che ha del mondo e delle cose è ormai completamente sprofondata in un universo privato e tendente allo schizofrenico. Dall’altra parte abbiamo però Marc Stevens (interpretato da Laurent Lucas), un artista che ci viene presentato fin dalla prima inquadratura come un essere ambiguo e asessuato, in una profetica performance che ci presenta la sua parte femminile; se la follia e l’estraniamento di cui è vittima Marc sicuramente risulta di grande impatto per l’emotività dello spettatore, la sua eccessiva remissività agli eventi appare troppo poco credibile: un uomo grande e grosso che si fa fare di tutto da un anziano, senza mai reagire, ma limitandosi a frignare, non è proprio il massimo della plausibilità ed è il fattore più si scontra con il clima di tensione e realismo scenografico descritto. Un altro elemento di estremo interesse in “Calvaire” è rappresentato dalla presenza di un gruppo di bifolchi guidati da Philippe Nahon (il killer di “Alta tensione”) che abitano il paesino vicino al bosco; un manipolo di boscaioli e contadini, tutti uomini, dai comportamenti inquietanti (l’allucinante danza improvvisata nel bar a ritmo dark è da brivido!) e dalle abitudini deviate, dediti allo stupro e ai rapporti carnali con animali. Qui la fonte d’ispirazione è chiaramente “Un tranquillo week-end di paura”, ma il film a cui Du Welz rende omaggio per l’allucinate finale è sicuramente l’onnipresente “Non aprite quella porta” di Hooper, riprendendo perfino la famosa scena della cena. Ottima è la prova registica di Du Welz, capace di dar vita a sequenze lente e riflessive nella prima parte del film, per poi sprofondare nella seconda parte in un turbine di follia e incubo utilizzando pianosequenze originali, una fotografia psichedelica ed effetti sonori da far venire i brividi (il doloroso grugnito del maiale che accompagna tutta la parte dello stupro e della fuga fa davvero accapponare la pelle!). Una lieve critica si può rivolgere alla sceneggiatura dello stesso Du Welz, che a volte presenta qualche buco che non collima a perfezione con la compattezza della storia, ma si tratta di una piccolezza, poiché nel complesso “Calvaire” è sicuramente un buon film. Consigliato!