Cub backdrop
Cub poster

CUB

Welp

2014 BE
October 29, 2014

Over-imaginative 12 year-old Sam heads off to the woods to summer scout camp with his pack convinced that he will encounter a monster...

Directors

Jonas Govaerts

Cast

Maurice Luijten, Evelien Bosmans, Gill Eeckelaert, Jan Hammenecker, Titus De Voogdt, Stef Aerts, Noa Tambwe Kabati, Ricko Otto, Louis Lemmens, Thomas De Smet
Adventure Horror
HMDB

REVIEWS (1)

FC

Francesca Coppola

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Sam, un dodicenne piuttosto chiuso e taciturno, si reca in campeggio con il suo gruppo scout. Per un disguido, i lupetti e i loro tre leader si ritrovano in una foresta oscura che cela in realtà alcuni sinistri segreti, tanto che anche la storia riguardante un presunto licantropo che si aggira nei dintorni, raccontata dai più grandi ai ragazzini per scherzo, sembra assumere connotazioni spaventosamente reali. Sam si ritroverà coinvolto in una serie di incontri con questa oscura presenza fino a conseguenze inaspettate. Se c’è qualcosa che riesce molto spesso in area fiamminga, sono gli horror. E quando si parla di Cub non si può non guardare alle origini di questo lungometraggio, una piacevolissima sorpresa dritta dal Belgio la cui carica suggestiva potrà essere finalmente fruita anche in home edition. Un esordio promettente del giovane Jonas Govaerts che punta non tanto a stupire lo spettatore, quanto a instillare nell’animo del grande pubblico i giusti semi della riflessione. No alle atmosfere da teen-romance orrorifico, no al classico spreco di vernice rossa in stile splatter: tutto quello di cui il regista si serve per instradare la narrazione è un bosco, topos cinematografico per quel che riguarda il genere, ma che stavolta si anima di oscure presenze concrete, tangibili. Tra la fitta vegetazione si consuma una tragedia impressionante perché fin troppo verosimile, eppure resta ben presente il dubbio su quale sia l’effettivo confine tra realtà e immaginazione. Da sempre nella tradizione letteraria, il bosco agisce come metafora dell’inconscio umano, fumoso calderone nel quale si rimescolano i più brutali e primigeni istinti, ed anche la location di Govaerts non fa eccezione nel rivelare al suo interno pulsioni irrazionali miste a trappole vere e proprie piazzate dall’orco cattivo di turno (in un curioso e labile rimando al fantomatico The Cabin in the Woods). L’eco infantile dal sapore violento o grottesco di film quali Venerdì 13 e Il labirinto del fauno si stempera in un amalgama tra fatto di cronaca ed episodio onirico, del tutto distante da qualsiasi apologo a lieto fine. Quella del bambino-licantropo è una storiella inventata per spaventare i più piccoli e le affermazioni del protagonista appaiono frutto di una fantasia alquanto sviluppata, ma si trattiene il fiato quando l’esserino gracile e deforme si palesa chiaramente sullo schermo: un novello dio Pan ricoperto di fango, con tanto di maschera cornigera fatta di ruvida corteccia e suoni gutturali emessi di tanto in tanto dalle labbra livide. Niente di sovrannaturale, dunque, ma il male che dilaga tra tronchi enormi e sentieri poco battuti è imprescindibile dalla stessa umanità. Sam, il cui passato è avvolto in un sapiente alone di mistero, è l’unico a riconoscerlo e ad avvicinarlo, perché esso fa già parte di lui. Il disagio del piccolo protagonista va ad intrecciarsi ad altri temi che pervadono lo svolgersi della vicenda, come quello di forte critica nei confronti della società attuale rappresentata dalla spettrale fabbrica abbandonata, emblema di una crisi che ben presto coinvolge l’intero gruppo di lupetti per il quale non si può non fare riferimento ad un’aura di letterarietà data dalla similitudine con le istanze presenti ne Il signore delle mosche di goldinghiana memoria. Le dinamiche dei rapporti tra i ragazzini appaiono tuttavia adattate alla contemporaneità, ficcate a forza in un’ottica che trascende ogni formula di buonismo per rifarsi al selvaggio e alla crudeltà immotivata. In effetti, la struttura narrativa manca di coesione e alcuni punti non ben chiariti dalla sceneggiatura inducono lo spettatore a porsi fin troppe domande – lasciate, ahimè, senza risposta – ma Cub è un film che va guardato così come viene presentato, senza pretese di completa comprensione né aspettative che rientrano negli standard. Il disagio di Sam e il suo conseguente approccio problematico con Kai risultano sostanzialmente il fulcro intorno al quale ruotano le azioni degli altri personaggi che rispondono un po’ tristemente a stereotipi ritriti nella cultura del genere, e anche la tensione interna al gruppo diviene funzionale a mettere sotto i riflettori le pulsioni del protagonista, stimoli adolescenziali che lo conducono a liberarsi della repressione e a tentare il riscatto individuale da un’esistenza dipinta a tinte fosche soltanto dalle poche parole dei due capigruppo disseminate qua e là durante lo svolgimento degli eventi. Se per la prima ora questa pellicola snella sembra funzionare a dovere, nella seconda parte qualcosa di non ben identificabile si incastra nel meccanismo narrativo: sarà la dimensione notturna atta a risaltare la metà più oscura dell’incubo, sarà la crudezza degli avvenimenti successivi, ma il film si spoglia delle sue presunte ambizioni allegoriche e psicologiche a favore di una tensione un tantino artificiosa che indulge in alcuni cliché dell’horror pur regalando più di qualche momento efficace, fino alla chiusura del cerchio più estrema. Nonostante l’accumulo di indizi – consciamente devianti e spesso lasciati senza spiegazione alcuna – e il compito affidato al pubblico nell’interpretazione alquanto personale del tutto, una storia cruenta senza un movente specificato non può che comportare perplessità. Probabilmente, i picchi drammatici e il feroce plot twist finale avrebbero necessitato di maggiore sviluppo e attenzione, ma in ogni caso la richiesta resta un’analisi accorta che non deve languire nel superficiale. Di sicuro il battesimo del fuoco di Govaerts si conquista un posto di rilievo nel panorama d’autore nazionale ed europeo, grazie anche a una splendida fotografia cupa che risalta l’ambientazione boschiva, a una colonna sonora dai toni concitati totalmente adeguata al contesto e alle interpretazioni degli attori, primo fra tutti il giovanissimo Maurice Luijten che interpreta il ruolo principale della pellicola con una buona dose di spontaneità e maestria, dimostrando una versatilità a tratti inusitata per un adolescente della sua età. In definitiva, Cub emerge non certo come pietra miliare del genere, ma resta un prodotto valido che si configura come un coraggioso esperimento nell'allontanarsi dai soliti schemi del brivido istantaneo per inseguire le affascinanti scintille visionarie dell’onirico-suggestivo.

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