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Roberto Giacomelli
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Roma, centro di produzione RAI in via Teulada. Dopo la diretta del programma Variety una delle soubrette viene barbaramente assassinata e il suo corpo nascosto in una sala di registrazione. La scomparsa della ragazza mobilita alcuni suoi colleghi convinti che le sia successo qualche cosa. Nel frattempo il misterioso killer continua le sue gesta prendendo di mira un’altra soubrette della trasmissione.
Sul finire degli anni ’70 la televisione pubblica italiana cominciava a sentire il fiato sul collo delle tv locali che da lì a pochi anni avrebbero di fatto interrotto la condizione di monopolio che vedeva la RAI come unico attore sulla scena televisiva nazionale. I gusti del pubblico e i loro modi di “consumare” la televisione stavano profondamente cambiando e la fine di Carosello a vantaggio degli spot così come il mutamento negli stessi contenuti del palinsesto ne erano un chiaro segnale. In quest’ottica non erano rari i casi in cui le produzioni RAI si impegnavano nella sperimentazione e nella contaminazione di generi e formati che portarono alla nascita di piccole serie antologiche e film tv intrisi di mistero e sangue che echeggiavano le atmosfere dei thriller argentiani tanto in voga in quegli anni. Per lo più si trattava di naturali evoluzioni del “nobile” sceneggiato mistery di cui “Il segno del comando” e “Ritratto di donna velata” furono tra i più felici – e fortunati – rappresentanti, che però
assumevano la forma di ibridi nel loro voler richiamare tematiche e suggestioni dello spaghetti thriller. A tal proposito fu emblematica la serie antologica in quattro puntate “La porta sul buio”, ideata da Dario Argento, e “I giochi del diavolo – Storie fantastiche dell’Ottocento”, a cui prese parte anche Mario Bava. A questo piccolo trend appartiene anche “Delitto in via Teulada”, un film per la tv diretto nel 1979 da Aldo Lado e pensato per far parte di un’ulteriore serie di cui oggi sono pressoché estinti gli esiti.
“Delitto in via Teulada” si mostra come un ibrido ancora più anomalo dei suoi più diretti parenti su citati poiché unisce alla chiarissima ispirazione cinematografica anche una originale referenzialità al mondo della televisione nel quale nasce. Si può tranquillamente parlare di esperimento metatelevisivo e il libero e continuo intersecarsi tra il mondo della fiction e quello del varietà televisivo ne è il più limpido esempio, facendo si che i volti cari al pubblico televisivo (da Baudo alle Kessler passando per Rascel e I Gatti di Vicolo Miracoli) diventassero comparse all’interno del thriller non dissimili dalle folle di curiosi che attorniano il luogo del delitto alla presenza della polizia. Lado utilizzò scampoli di “Variety”
ma il lavoro di riciclo non è intrusivo, anzi aiuta a creare una perfetta contestualizzazione che altrimenti sarebbe stato arduo creare, lasciando allo spettatore moderno anche una piccola testimonianza di come e cosa fosse la televisione di trenta anni fa, curiosamente e inquietantemente popolata da gran parte degli stessi volti che ancora oggi si insidiano nelle prime serate televisive.
La storia gialla che rappresenta il fulcro del film è piuttosto scontata e si mostra debitrice in modo quasi imbarazzante del cinema del primo Argento, anche se la ricorrenza di determinati topoi erano quasi caratteristica imprescindibile per il genere; però l’ambientazione negli studi RAI e il gioco metatelevisivo che rende vittime le stesse starlette del piccolo schermo è originale e rappresenta un interessante variante all’interno di un filone che nel 1979 aveva detto praticamente tutto, spesso ripetendosi senza fantasia.
Malgrado l’evidente pegno che Lado (“L’ultimo treno della notte”; “La corta notte delle bambole di vetro”) paga nei confronti di una messa in scena che ricorda per soluzioni registiche Dario Argento quasi da far pensare alla citazione voluta, il regista dimostra comunque di conoscere il mestiere alla perfezione portando in scena alcune scene cariche di tensione che raggiungono l’apice nella fuga di Barbara D’Urso (si, c’è anche lei, attrice giovanissima in ruolo di rilievo), molto simile a quella che vedrà protagonista Jenny McCarthy ben venti anni dopo in “Scream 3” (che guarda caso portava in scena un gioco metatestuale molto simile, solo con la variante del mondo del cinema!). Il resto del cast annovera i nomi cari al genere come la fulciana Auretta Gai (“Zombi 2”) e Pietro Brambilla (“La casa dalle finestre che ridono”) a cui si aggiungono Antonio Petrocelli e Giuseppe Pambieri. Musiche di Fabio Frizzi.
“Delitto in via Teulada” è una piacevole variante allo spaghetti thriller, incorporandone tutti i clichés e conducendo un funzionale discorso metatelevisivo che oggi appare un interessante precursore di linguaggi moderni. Difficile da reperire, ma vale la pena darsi da fare.