Alex Garel è un ingegnere cibernetico che sogna di costruire un robot fornito di cuore e anima. Tornato dopo dieci anni a Santa Irene, ritrova i suoi affetti e riprende i progetti lasciati a metà. Stabilitosi nella casa paterna, riordinata e riassettata da un domestico meccanico, Alex scopre molto presto che il fratello David ha una bambina ed è sentimentalmente legato alla donna amata e abbandonata dieci anni prima. Eva è una fanciulla curiosa e ciarliera che prova un'istintiva simpatia per Alex e la sua professione. Invitatasi nel suo laboratorio resta affascinata da un robot bambino a cui l'ingegnere sta lavorando per conto terzi. Tra esperimenti falliti e scivoloni sulla pista di pattinaggio, Alex comprenderà presto che niente è come sembra e che il cuore di Eva nasconde un segreto che lo riguarda da vicino.
Registi
Kike Maíllo
Cast
Daniel Brühl, Marta Etura, Alberto Ammann, Claudia Vega, Anne Canovas, Lluís Homar, Sara Rosa Losilla, Manel Dueso, Ona Casamiquela, Peter Vives
In un futuro non troppo lontano, la ricerca sulla robotica si sta spingendo nella progettazione di esemplari che riproducano in tutto e per tutto le fattezze umane. L'ingegnere cibernetico Alex Garel, da poco tornato nella casa paterna a Santa Irene, da cui mancava da oltre dieci anni, sostiene la possibilità che un robot possa sviluppare ricordi e forse un’anima ed è alla ricerca di un bambino che possa fungere da modello per il suo prototipo di robot commissionatogli da una società di robotica. Alex però non riesce a trovare il bambino ideale perché quelli che gli vengono proposti, a suo parere, sono noiosi. Un giorno Alex incontra fuori da una scuola elementare Eva, una ragazzina particolarmente curiosa ed estroversa e decide che sarà proprio lei il modello per il suo robot. Ma ben presto Alex scopre che Eva è sua nipote, figlia della donna di cui lui era innamorato ai tempi dell'università e che invece ha poi sposato suo fratello.
La Spagna negli ultimi anni ha fatto passi da gigante, cinematograficamente parlando. In barba a una situazione economica che echeggia crisi anche nel Paese della movida, l’industria cinematografica è in gran fermento produttivo con una consolidazione del sistema dei generi capace di far concorrenza a Hollywood e scalzando qualitativamente il prodotto a stelle e strisce con estrema facilità.
“Eva” rappresenta l’incursione iberica nel filone robotico della fantascienza, oltre che l’esordio nel lungometraggio del regista Kike Maillo. Un filone che ha parenti illustri nella cinematografia americana del passato più o meno recente ma rare pietre di paragone nella tradizione cinematografica spagnola e forse anche europea.
Con più di qualche somiglianza con “A.I. – Artificial Intelligence” di Steven Spielberg, da cui carpisce l’idea della centralità del robot infante e della ricerca di un’umanità anche in un essere cibernetico, “Eva” riesce comunque a sviluppare un discorso personalissimo e molto profondo che pone i rapporti umani al centro della vicenda. La storia di Alex Garel, interpretato da un bravissimo Daniel Bruhl (“Bastardi senza gloria”; “Intruders”), ingegnere ferito dalle rinunce e forse dalle scelte sbagliate fatte nel passato, è ben articolata e toccante negli sviluppi. Ponendo Alex come protagonista, piuttosto che la sua creatura/creazione, si riesce a dare un punto di vista inedito sulla vicenda, differenziando così “Eva” da film simili che raccontano di robot e sentimenti. Alex Garel è una sorta di moderno Frankenstein, ossessionato dalla ricerca della perfezione e dalla creazione di un essere che rappresenti un ideale a lui lontano. Ovviamente, come spesso accade quando si gioca a sostituirsi a Dio, questo comporta delle conseguenze che assumono connotazioni tragiche che in “Eva” si traducono in una seconda parte che si tinge di melodramma. La virata di tono nel film di Maillo è piuttosto inaspettata e seppur rappresenti un’evoluzione
perfetta della storia, a un primo acchito può spiazzare lo spettatore. I colpi di scena non sono realmente tali, ma gli intrecci, le rinunce, le perdite e le scelte rappresentano un esempio di ottima narrazione emozionale. La sceneggiatura di Sergi Balbel si struttura classicamente in tre atti, ognuno dei quali abbastanza riconoscibile nel percorso che il protagonista compie nella storia, ma l’utilizzo intelligente dei sentimenti e l’ottima costruzione che si ha dei personaggi non solo principali, fanno di “Eva” un gioiellino di scrittura e messa in scena.
Molto buona l’idea di non abbandonarsi allo stereotipo fantascientifico di luoghi e tempi futuristici. Non c’è una precisa collocazione temporale in cui è ambientato il film, lo spettatore presume un futuro non troppo lontano, visto l’argomento trattato, ma non abbiamo alcuna datazione. Gli uomini convivono con i robot, utilizzandoli come animali domestici o collaboratori alle faccende quotidiane e una legge ne regola la coesistenza con gli umani, ma la vicenda di “Eva” si ascrive in uno scenario del tutto simile al nostro presente, senza alcun tipo di eccesso tecnologico che ne caratterizzi il progresso, ad eccezione dei robot, naturalmente. Niente macchine volanti, abiti eccentrici e architettura esasperatamente verticale,
piuttosto la location in cui si ambienta il film è un normalissimo paese di provincia, avvolto dalla campagna e toccato dalla neve. Un luogo fuori dal tempo che fa uno strano effetto così com’è, legato a una vicenda da fantascienza, ottimo espediente ossimorico che riesce a distanziare questo film dai suoi epigoni e antesignani.
La ricerca di un’anima anche lì dove non potrebbe/dovrebbe esserci è un po’ il leit movitv del film. Garel è convinto che anche un organismo cibernetico sia in grado di sviluppare e conservare ricordi e il cervello olografico delle sue creature, composto suggestivamente da sinapsi che come scrigni contengono sprazzi di vita del robot, ne è la dimostrazione visiva. Ovviamente quella di Garel non è una certezza ma una ricerca della verità, una continua messa alla prova che possa confutare la sua tesi. Cosa vede un robot quando chiude gli occhi? Gli si apre un mondo fatto di ricordi come accade all’uomo? Attorno a questa domanda si costruisce l’ossessiva ricerca di Garel, che forse troverà una risposta nella suggestiva immagine che chiude il film.
Nel cast di “Eva”, oltre al già citato Daniel Bruhl,
c’è la bella e brava Marta Etura, già vista di recente negli altri pezzi da 90 iberici “Cella 211” e “Bed Time”, e ovviamente la giovanissima Claudia Vega, che da volto alla carismatica Eva, musa ispiratrice del novello Frankenstein nell’impresa di creare un robot più umano degli umani.
“Eva” è dunque un bellissimo viaggio, in parte introspettivo in parte del tutto materiale, nell’inesplorato mondo della fantascienza spagnola, un ottimo esempio di come si possa raccontare una bella storia senza abbandonarsi a spettacolari effetti speciali e trame eccessivamente arzighigolate, ma facendo leva semplicemente sulle emozioni.