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Roberto Giacomelli
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La missione spaziale nell’orbita di Saturno non va a buon fine e l’unico sopravvissuto, Steve West, è rimasto esposto alle radiazioni cosmiche con conseguenze drammatiche. L’uomo, infatti, ha subito una mutazione molecolare che lo sta facendo letteralmente sciogliere; l’unico modo per preservare il più possibile la sua integrità fisica è nutrirsi di carne umana. Una volta fuggito dall’ospedale in cui era ricoverato, West si rifugia nei boschi in cerca di prede.
Il titolo originale di questo film – The Incredibile Melting Man – è esplicativo sul tipo di operazione con la quale abbiamo a che fare: un fanta-horror dichiaratamente di serie B che ha l’intento primario di rievocare un certo tipo di cinema fantascientifico anni ’50. Diciamo che il regista e sceneggiatore William Sachs (“Spooky House”) ha centrato il bersaglio solo al 50%, cogliendo indubbiamente alcune azzeccate trovate nostalgiche e mescolandole con la new wave orrorifica degli anni ’70, ma cadendo anche in alcune evitabili banalità che rendono “L’uomo di cera” decisamente “datato” se visto con gli occhi di uno spettatore moderno, seppur perfettamente alfabetizzato a visioni d’epoca.
Sachs voleva rendere omaggio al genere fantascientifico tipico della metà dello scorso secolo, soprattutto quello contaminato con le atmosfere horror che riscosse un certo successo di pubblico e oggi è venerato come oggetto di culto, in particolare si può notare una sicura connessione tematica con due film di una certa importanza come “L’astronave atomica del Dottor Quatermass” e “Il primo uomo dello spazio”. Sachs conosce il genere e riesce a creare una certa dose di suggestione da fantascienza old school di sicura presa sul pubblico da drive in; i richiami però si limitano alla cornice narrativa per incentrare poi lo sviluppo della storia completamente sulla duplice caccia all’uomo condotta dal mostro in cerca di carne di cui cibarsi e dalle forze dell’ordine in cerca del mostro. A questo punto l’atmosfera cupa e l’abbondante utilizzo di scene gore e raccapriccianti fanno virare l’opera verso l’horror più esplicito creando un curioso e
affascinante ibrido dalla doppia anima: suggestioni da fanta-horror classico e semiotica cara al rinnovato horror “sanguigno” degli anni ’70. Perfino la regia non esclude alcuni interessanti movimenti di macchina (da citare soprattutto il “viaggio” lungo il corso d’acqua della testa mozzata) che mostrano come Sachs avesse talento aldilà dei mediocrissimi film che compongono il suo curriculum.
Contro questa opera c’è una serie di piccoli dettagli che testimoniano la troppo poca attenzione che è stata dedicata alla stesura della sceneggiatura che cade in errori grossolani (perché fare una missione su un pianeta gassoso?) o in preoccupanti laissez-faire che presuppongono una certa propensione dello spettatore alla sospensione dell’incredulità: in pratica si sorvola un po’ su tutto, a cominciare sul perché West abbia bisogno proprio di carne umana per sopravvivere.
Malgrado il film non arrivi a 90 minuti si corre il rischio di annoiarsi per una eccessiva ridondanza degli eventi che rendono poco fluida la narrazione.
Non aiutano i personaggi monodimensionali, completamente lasciati in ombra dalla presenza fisica dell’uomo di cera, un Alex Rebar (“Amityville Horror – La fuga del diavolo”) reso irriconoscibile dall’efficace make-up di Rick Baker, qui in una delle sue prime creazioni. Non aiuta il bassissimo budget con il quale il film fu realizzato, che oggi lo rende esteticamente molto, forse anche troppo, grezzo.
Simpatica e riuscita la citazione a “Frankenstein” che vede protagonista una bambina e il suo incontro ravvicinato con l’uomo di cera.
Un film ingenuo, dunque, e sicuramente non riuscito del tutto soprattutto a causa di una sceneggiatura superficiale e di una povertà di fondo molto evidente. “L’uomo di cera” rimane un’opera datata ma comunque affascinante, soprattutto per i cultori del vintage, oltre ad essere uno dei primi horror del mini-filone “melting”.
Merita mezza zucca in più.
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