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Roberto Giacomelli
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A Roma durante l’estate si verificano una numerosa serie di suicidi che l’opinione pubblica sta attribuendo all’influsso nefasto di un fenomeno solare. La ricercatrice Simona Sanna, che ha frequenti visioni di cadaveri che prendono vita, sta lavorando a una tesi su casi di omicidio mascherati da suicidio quando la giovane amante di suo padre viene rinvenuta cadavere su una spiaggia di Ostia. Tutto fa pensare che si tratti di un suicidio, ma Paul, il fratello della donna, è convinto che sua sorella sia stata assassinata. Simona, che comincia a sospettare del coinvolgimento di suo padre nella morte della donna, è entrata in contatto con Paul e allo stesso tempo è finita anch’essa nelle mire di un misterioso assassino.
Prima di finire la sua carriera cinematografica con la parodia melbrooksiana “Frankenstein all’italiana”, in cui Aldo Maccione interpreta un mostro super dotato, Armando Crispino aveva tentato una seconda incursione nei territori del thriller con “Macchie solari”. Così come era accaduto per “L’etrusco uccide ancora”, il regista biellese mescola toni realistici con suggestioni soprannaturali e anche in questo caso il risultato è altalenante.
In “Macchie solari” la mano di Crispino si nota, soprattutto nella doppia natura che muove l’avanzare della vicenda: da un parte c’è il classico giallo con assassino che miete vittime, dall’altra un subplot dai toni anti-realistici che si pone come elemento di novità all’interno di un filone saturo e spesso dedito alla ripetitività. “Macchie solari” presenta infatti un’introduzione magnifica, una sequela di truci suicidi mostrati in maniera quasi lirica, una
sequenza di grande impatto che giustamente è il motivo che spesso porta questo film ad essere ricordato. La vicenda prosegue con toni quasi surreali, mostrandoci le morbose e inquietanti visioni necrofile della protagonista, attanagliata da morti viventi che si accoppiano e che reclamano le sue grazie. Si tratta di un inizio folgorante, di quelli che ti fanno immediatamente salire l’interesse, così carico di promesse e aspettative per una stramba variante al solito thriller.
Purtroppo però Crispino non mantiene la promessa, e dopo i primi venti minuti “Macchie solari” comincia a rallentare, ad addomesticarsi, per concludersi poi nella maniera più banale possibile.
La vicenda si tinge di giallo, come è accettabile che sia, però senza alcuna fantasia e in modo anche fin troppo rilassato, facendo assumere al film un andamento lento, anzi diciamo pure noioso, che non riesce a far appassionare più di tanto lo spettatore. La rivelazione finale, poi, è altamente deludente, con un movente tirato per i capelli e troppo simile a mille altri visti nei thriller di quell’epoca, un po’ come era accaduto anche in “L’etrusco uccide ancora”, in fin dei conti. E tutto ciò è un peccato, perché la premessa faceva davvero ben sperare.
Tutto sommato, sorvolando sulla delusione che immancabilmente coglie lo spettatore a prima visione, si trovano comunque in “Macchie solari” una serie di elementi che lo pongono all’attenzione e lo riescono a far emergere dalla massa.
Innanzitutto si può notare un’efficace costruzione di alcuni personaggi, a cominciare dalla protagonista, una brava Mimsi Farmer (“Quattro mosche di velluto grigio”; “Il profumo della signora in nero”) che dà vita a una ragazza dalla psiche contorta e difficilmente espugnabile. La giovane ricercatrice ha una esplicita repulsione per il sesso: manda in bianco il suo ragazzo e all’ospedale un suo collega che tenta di violentarla. Eppure la ragazza sogna i cadaveri che la palpeggiano e si abbandona alle attenzioni fin troppo affettuose del padre, un buon Carlo Cattaneo (“I promessi sposi”; “Le cinque giornate di Milano”) che qui ha un debole per le ragazzine. Crispino, anche sceneggiatore insieme a Lucio Battistrada, ci tiene a creare un clima di morbosità che spinge molto sulla dimensione erotica, puntando soprattutto su psicologie “perverse” e personaggi sopra le righe, e ci riesce per buona parte. Però non tutti convincono e alcuni comprimari, soprattutto maschili, non appaiono particolarmente ispirati, a cominciare dal personaggio di Ray Lovelock (“Non si deve profanare il sonno dei morti”; “Avere vent’anni”) e dall’antipatico Paul di Barry Primus.
Anche il reparto gore, seppur ristretto a una
manciata di scene (quasi tutte concentrate nella prima parte), è molto appetibile e presenta degli effetti speciali raccapriccianti e realistici.
“Macchie solari”, dunque, parte come un prelibata e anomala novità per trasformarsi presto in un giallo fin troppo conforme al genere. Qua e là ci sono spiragli d’interesse, ma la sensazione di occasione sprecata è sempre prevalente.
Curiosità. All’epoca dell’uscita di “Macchie solari” nei cinema italiani venivano distribuite agli spettatori che entravano in sala delle mascherine senza fori per gli occhi, che si raccomandava di indossare ai più impressionabili per le scene più cruente.