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Roberto Giacomelli
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2089. La coppia di archeologi Charles Holloway ed Elizabeth Shaw scopre in una grotta delle strane pitture rupestri che vengono interpretate come una mappa stellare. Convinti che quel disegno sia un invito da parte di una razza extraterrestre che probabilmente ha generato la vita sulla Terra, Charlie ed Elizabeth riescono a convincere il miliardario Peter Weyland a finanziare una spedizione verso la luna LV-223. Viene così composto un equipaggio che va ad imbarcarsi sulla nave esplorativa Prometheus e, in stato di criostasi, viaggia nello spazio fino al 2093. Giunti sul luogo previsto e accuditi dall'androide David, gli astronauti si mettono alla ricerca di una forma vitale, quegli extraterrestri che loro chiamano gli Ingegneri. Supervisionati dalla coordinatrice di missione Meredith Vickers, Charlie, Elizabeth, David e altri si avventurano in quello che sembra essere un tempio alieno, scoprendo una sconcertante verità...
Annunciato e lungamente atteso dai fan, arriva finalmente nei cinema quello che può essere considerato il prequel di "Alien", l'anno zero di tutto ciò che riguarda la mitologia degli amati xenomorfi. Chi poteva, se non il padre dell'intera saga, andare ad esplorare le origini di uno dei franchise di fantascienza più importanti e apprezzati della storia del cinema? E infatti Ridley Scott torna alla regia con un film pienamente riuscito, un regalo ai fan della saga e un bellissimo antefatto a una storia nota e fondamentale per la definizione di certo cinema fantastico.
Con una sceneggiatura non propriamente di ferro, scritta da Damon Lindelof ("Lost"; "Cowboys &
Aliens") e Jon Spaihts ("L'ora nera"), Scott cerca di esplorare curiosamente due origini: quella del genere umano e quella del mito di Alien. La prima, senza troppe sorprese, va ad attribuire la nascita dell'uomo a una razza extraterrestre che portò la vita sulla Terra e identificata, dunque, come Dio. Una storia in sintonia con molte teorie che recentemente hanno appassionato l'opinione pubblica. Nel caso di "Prometheus" l'origine dell'uomo, legata a questa razza di giganti umanoidi bianchi battezzati "Ingegneri", è l'innesco per la storia, il motivo che spinge i nostri protagonisti ad avventurarsi nello spazio alla ricerca del sapere, pronti a sfidare le divinità come fece quel Prometeo che ha dato nome alla loro nave spaziale.
L'origine del mito di Alien è introdotto invece in modo più complesso, prendendo molto alla larga la questione e mostrandoci un pianeta molto simile alla Terra, embrione di strane creature serpentiformi che hanno la brutta abitudine di introdursi sotto la pelle. Senza spoilerare, possiamo dire che la strada che conduce agli xenomorfi è composta da steps e diversi stadi evolutivi, capaci comunque di fornirci una serie di repellenti creature - a tratti di vaga ispirazione lovecraftiana se non addirittura carpenteriana - che ci terranno incollati alla poltrona con estrema facilità. Gli Aliens così come li conosciamo ci vengono suggeriti, compaiono curiosamente nel
tempio incisi sulle pareti, nello stesso luogo in cui misteriosi contenitori tentano palesemente di richiamare visivamente alla memoria il nido del primo film, con queste urne metalliche al posto delle uova. Non manca poi lo Space Jockey che ha alimentato la curiosità di tanti spettatori nei decenni, qui finalmente svelato, chiarito e mostrato.
Insomma, le sorprese sono molte e succulente, a volte dal sapore citazionistico un pò nerd che fanno sorridere e allo stesso tempo emozionano con sincerità. Scott tenta di tornare sui suoi passi e ci ritroviamo nella prima ora di film dinnanzi a situazioni e personaggi che richiamano moltissimo il film del 1979. Lo sguardo onnipresente della Weyland Corp., la missione, l'esplorazione dell'antro misterioso, il contagio, la presenza di un androide... sono molti i rimandi espliciti ad "Alien", che si completano con una Noomi Rapace protagonista che non faticherà a riportare alla mente la Ripley di Sigurney Weaver, per tenacia e aspetto fisico. Non manca neanche la scena repellente che dovrebbe fare il verso alla famosa "perforazione del petto" nel primo film, qui rappresentata da un impressionante tentativo di aborto con taglio cesareo che di fatto è una delle scene emotivamente più forti viste al cinema nel 2012.
"Prometheus" funziona nella sua totalità: funziona per la magnifica regia di stampo classico, per l'incredibile senso del ritmo, per l'adrenalina delle scene d'azione, per i costumi che rimandano in modo sempre più esplicito al "Terrore nello spazio" di Mario Bava, per i bellissimi effetti speciali e per i bravi attori. A proposito di attori, in "Prometheus" recitano due tra le più brave attrici attualmente sulla piazza, una Noomi Rapace ("Sherlock Holmes: Gioco di ombre") più carina del solito e la sempre affascinante Charlize Theron ("Biancaneve e il cacciatore"), nei ruoli - rispettivamente - della archeologa Elizabeth Shaw e della coordinatrice Meredith Vickers. Ma c'è anche Michael Fassbender ("X-men: L'inizio"), uno degli attori maggiormente richiesti oggigiorno, che qui interpreta con
convinzione il robot David. Irriconoscibile sotto il trucco del vecchio Weyland c'è invece Guy Pearce ("Solo per vendetta"). Un cast di star, insomma, che contribuisce alla riuscita del film.
"Prometheus", inoltre, è stato girato in 3D e così è preferibile che sia fruito. Diciamo che il film di Scott non fa un uso ludico del 3D e si cerca di utilizzare la profondità più che il rilievo, ma in alcune scene la visione tridimensionale riesce davvero ad aggiungere un plus al film, rendendo la distesa di stelle e gli ampi spazi aperti del pianeta alieno luoghi immersivi per lo spettatore.
Da vedere e rivedere, "Prometheus" completa l'universo di Alien senza stravolgere quanto fino ad oggi lo spettatore ha imparato ad amare.