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SMALL TOWN - LA CITTÀ DELLA MORTE

Small Town Folk

2007 GB
gennaio 1, 2007

C'è un posto ... un luogo chiamato Grockleton, in cui, in cima ad una collina si erge Manor della Lonely Beesley, governato dal malvagio 'Landlord' e dai sui scagnozzi. Sempre alla ricerca di nuova compagnia femminile per contribuire a portare avanti il nome Beesley, 'Landlord' mantiene un occhio vigile su Grockleton e chiunque osi entrare nel suo territorio. Quando tre improbabili eroi si imbattono...

Registi

Peter Stanley-Ward

Cast

Chris R. Wright, Warwick Davis, Dan Palmer, Simon Stanley-Ward, Greg Martin, Hannah Flint, Howard Lew Lewis, Jon Nicholas, Ben Richards, Sophie Rundle
Horror
HMDB

RECENSIONI (1)

RG

Roberto Giacomelli

Un coppia in cerca d’avventura, malgrado gli avvertimenti di un nano incontrato sul ciglio della strada, si dirige nel paese di Grockleton, un luogo abitato da squinternati che si dilettano nella caccia all’uomo. Contemporaneamente anche Marcus, un adolescente un po’ “sfigato”, si trova a passare a Grockleton, finendo anch’esso nelle grinfie dei folli villici. A volte bisognerebbe essere realisti e rendersi conto che se non si hanno le possibilità certe cose non andrebbero fatte. A Peter Stanley-Ward ciò non interessa e, seppur costretto a rompere il porcellino salvadanaio per mettere insieme qualche spicciolo in più, armato di buona volontà e il più economico software per effetti speciali fai-da-te disponibile sul mercato, mette insieme uno dei film più scombiccherati e profondamente brutti a vedersi tra quelli arrivati nelle nostre videoteche negli ultimi mesi. “Small Town – La città della morte” (“Small Town Folk”, in originale) è comparabile al più scalcagnato prodotto low budget che si possa trovare sul mercato, un’operetta da poche sterline che l’inglese Stanley-Ward, oltre a dirigere, scrive, fotografa, interpreta, monta, produce, arreda, riprende e vi crea gli effetti visivi…insomma, un vero e proprio “one man show”! La volontà del factotum è esemplare e un certo talento dietro la macchina da presa c’è pure, visto il gusto a tratti visionario e le ricercate trovate virtuosistiche di regia, ma il risultato lascia davvero sconcertati. La cosa che stupisce maggiormente è l’uso e abuso di effetti speciali digitali assolutamente non all’altezza di un film che voglia definirsi tale; un pantheon di fintissima CGI che va a creare esplosioni, schizzi di sangue ed elementi del paesaggio. Per non parlare poi della pessima idea di girare oltre la metà del film utilizzando la tecnica del green screen, ovvero facendo recitare gli attori davanti a un telone verde e aggiungendo in fase di post-produzione gli scenari ricreati in digitale: la resa finale, ovviamente, è tremenda, una serie di background posticci con tanto di correzione colore approssimativa e scontornamento mal riuscito. Ci si chiede a questo punto per quale motivo, visto il risultato, il regista non abbia optato per riprese dal vero, le quali avrebbero di certo reso ugualmente evidente la natura estremamente indie del progetto, ma almeno avrebbero evitato quel fastidioso senso di “finto” che pervade ogni inquadratura. Tecnicamente un disastro, dunque, ma anche artisticamente non è che le cose cambino molto. Se si esclude la ricercatezza registica di cui si è già accennato, il film è un concentrato di bruttezza sempre e comunque. La sceneggiatura è come se non ci fosse, il film procede per forza di inerzia tra situazioni viste e riviste in mille altri film - “2000 Maniacs” e “Non aprite quella porta” su tutti - e assume dei connotati di ripetitività disarmanti (in pratica c’è sempre la vittima che fugge per il bosco e gli squinternati che inseguono e/o fanno trappole). I dialoghi oscillano tra lo squallido e il ridicolo (a volte volontario, però) e a peggiorare le cose c’è un cast composto quasi esclusivamente da esordienti, reclutati tra amici e parenti del regista, che offrono una recitazione che a dirsi amatoriale è un complimento. Tra il relativamente folto numero di personaggi si possono riconoscere solamente Howard Lew Lewis (“Robin Hood – Il principe dei ladri”) e Warwick Davis (il folletto della serie “Leprechaun”) che compaiono in un cammeo. Se i personaggi “normali” non hanno praticamente caratterizzazione ma sono gettati nella storia come semplice carne da macello, anche i folli rednecks “cattivi” lasciano molto a desiderare. Stanley-Ward ha puntato tutto sulla stramberia di personaggi grotteschi che vanno dal demente interpretato in maniera fin troppo enfatica al cacciatore strabico che non è altro che un personaggio comico tout court. Una menzione particolare giusto al look dei due fratelli spaventapasseri (uno dei due interpretato dallo stesso regista, tanto per cambiare) che sembrano usciti da una band metal tipo Slipknot. Moderate le scene cruente e purtroppo, in linea con il resto, palesemente finte per mancanza di mezzi adeguati. Ulteriore tirata d’orecchie per la coreografia delle scene d’azione che, a dispetto del complesso, sono girate particolarmente male. Insomma, l’essenza del brutto a cui la scelleratezza di alcune trovate non in sintonia con i mezzi esigui della produzione da un plusvalore di evitabilità. E’ un mistero che “Small Town” abbia goduto di così tanta visibilità.