RG
Roberto Giacomelli
•
Il ventenne Dorian Gray giunge a Londra dopo aver ereditato la magione di suo zio appena defunto. Ben presto l’ingenuo Dorian si affida agli insegnamenti di Lord Henry Wotton, che lo inizia ai piaceri della vita e lo spinge ad adottare la filosofia del ‘cogli l’attimo’. Dorian viene invitato a fare da modello per un ritratto dal pittore Basil Hallward; affascinato dalla sua stessa immagine dipinta, Dorian desidera di poter rimanere così giovane e bello per l’eternità e, come per magia, il suo desiderio si avvera. E’ il quadro ad accumulare le rughe dell’età e la putrefazione dell’anima di Dorian, mentre il suo corpo rimane sempre quello di un ventenne.
Tra lungometraggi per il cinema, per l’home video ed episodi di serie tv, il personaggio di Dorian Gray ha avuto almeno una ventina di volti, da Hurd Hatfield in “Il ritratto di Dorian Gray” (1945) a Stuart Townsend in “La leggenda degli uomini straordinari” (2003), passando da Helmut Berger di “Il dio chiamato Dorian” (1970). Negli ultimissimi anni, poi, una incredibile mole di adattamenti dell’opera di Oscar Wilde stranamente sta invadendo il mercato, sentore questo di un rinnovato interesse per il personaggio partorito dalla mente del noto scrittore irlandese che poteva benissimo essere letta come presagio dell’arrivo imminente di un lungometraggio produttivamente più impegnato. E infatti, direttamente dalla Gran Bretagna e sotto la regia dello specialista wildiano Oliver Parker (“Un marito ideale”; “L’importanza di chiamarsi Ernest”), arriva sul grande schermo “Dorian Gray”.
Stavolta il volto del giovinetto dall’animo corrotto appartiene al ventottenne Ben Barnes, noto al pubblico per aver interpretato il Principe
Caspian nel secondo capitolo (e presto anche terzo) di “Le cronache di Narnia”. Barnes non è un attore di grande esperienza e non ha assolutamente la padronanza scenica, è impacciato e acerbo e questo si nota in ogni sua entrata in scena. Però Barnes funziona, ha le fisique du role per interpretare Gray e, malgrado gli esiti, si nota anche che l’impegno da parte sua c’è tutto. Non un Dorian perfetto ma comunque un Dorian apprezzabile, forse uno dei pochi fino ad ora ad apparire credibile nella condizione di candore e ingenuità che precede l’iniziazione e la corruzione effettuata da Lord Wotton, dal momento che gran parte degli attori che fino ad ora hanno vestito i panni di Dorian Gray avevano un aspetto da filibustieri ancor prima di scoprire il potere del dipinto.
In generale l’opera di Parker può considerarsi riuscita e apprezzabile sia per lo spettatore generico che per il conoscitore dell’opera letteraria d’ispirazione. Malgrado alcune libertà da parte dello sceneggiatore Toby Finlay, infatti, il film è piuttosto fedele al romanzo e riesce a ricrearne anche alcune atmosfere che puntano sul decadimento morale del protagonista e, di riflesso, della società inglese di fine ‘800. Quello che Parker non riesce a donare alla sua opera è invece una personalità specifica e un vero e proprio ritmo filmico: quel che paga nel rispetto alla fonte, infatti, non gli crea alcun vantaggio sul piano puramente cinematografico. “Il ritratto di Dorian Gray” è un romanzo particolare, molto descrittivo e
fortemente metaforico, difficilmente adattabile in forma cinematografica rimanendo fedeli allo scritto e infatti il film, che fedele vuole essere, risulta a tratti noioso, fatica a catturare lo spettatore e appare come opera fredda e distante. C’è da dire, però, che forse questa sensazione di distacco e freddezza è in parte voluta, poiché la stessa fotografia di Roger Pratt tende ad esaltare toni cupi e a volte anche glaciali, donando al film una colorazione a tratti dark a tratti solare che lo rende visivamente ricercato.
La vicenda di “Dorian Gray”, si sa, è piuttosto audace e dovrebbe puntare molto sull’erotismo per esplicare la crescita del protagonista nel suo percorso di immoralità, da sbarbato e ingenuo giovanotto a violatore di ragazzine e seduttore di donne mature e uomini. Parker giustamente non si sottrae da quest’ottica ma la messa in scena dell’erotismo in questa pellicola è tra le più impacciate che si siano viste di recente in un lungometraggio. Ogni amplesso, ogni ammucchiata, ogni minimo cenno alla dimensione del sesso si risolve timidamente con un paio di inquadrature che urlano con preoccupazione ‘vorrei ma non posso’. Strana e discutibile scelta, dal momento che ci troviamo di fronte a un prodotto chiaramente per adulti e che avrebbe sicuramente giovato di un pizzico di morbosità ed esplicitazione in più di quanto mostrato.
Dalla sua, questo “Dorian Gray” ha il fatto di calcare decisamente la mano sotto l’aspetto più horror della vicenda. Abbondano, dunque, i particolari macabri legati alla trasformazione del dipinto e ai sogni/rimorsi che tormentano Dorian, inoltre sono presenti anche inaspettati scatti di violenza che sfociano tranquillamente in particolari splatter. Ma quello che maggiormente avvicina “Dorian Gray” all’universo horror è il climax finale, un ben congegnato confronto/scontro tra Dorian e la sua ‘anima’ che colpisce soprattutto per la resa visiva della scena.
Completano lo scenario tutta una serie di bravi attori inglesi che affollano la scena e di cui vale la pena citare Colin Firth (“Mamma Mia!”; “La ragazza con l’orecchino di perla”) nei panni di Lord Wotton e Ben Chaplin (“Lost Souls – La profezia”; “Birthday Girl”) in quelli di Basil.
Voto arrotondato per eccesso.