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EYEBALL

Gatti rossi in un labirinto di vetro

1975 IT
January 24, 1975

A group of American tourists is traveling through Spain when two of them are murdered by a mysterious serial killer who removes an eyeball from every one of its victims. The tour presses on as the murders continue, with the travelers and the police trying to deduce which one of them is the killer.

Directors

Umberto Lenzi

Cast

Martine Brochard, John Richardson, Ines Pellegrini, Andrés Mejuto, Mirta Miller, Daniele Vargas, George Rigaud, Silvia Solar, Raf Baldassarre, José María Blanco
Horror Thriller Mystery
HMDB

REVIEWS (1)

RG

Roberto Giacomelli

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Un gruppo di turisti americani in gita a Barcellona si trova coinvolto in una serie di efferati omicidi. L’assassino massacra a coltellate giovani donne e poi estrae loro l’occhio destro. Le vittime sono in prevalenza proprio le stesse turiste del gruppo e la polizia sospetta che l’omicida sia proprio uno dei turisti poiché un testimone oculare ha visto che l’assassino indossava lo stesso impermeabile rosso dato in dotazione al tour. Mark Barton, giunto in Spagna per incontrare la sua amante, sospetta della moglie Anna, inizialmente diretta in una clinica psichiatrica a Chicago ma ora giunta misteriosamente anch’essa a Barcellona. Siamo nel 1975, i gialli della trilogia animalesca argentiana (“L’uccello dalle piume di cristallo”, “Quattro mosche di velluto grigio”; “Il gatto a nove code”) hanno fatto scuola e tanti registi di genere italiani si sono dedicati alla creazione di incubi dall’intricato plot e dai sorprendenti colpi di scena, che imitavano, nel titolo e nella costruzione narrativa, proprio i tre grandi successi di Dario Argento. A metà degli anni ’70, però, questa tipologia di gialli all’italiana stava cominciando ad avere il fiatone, con la conseguenza che da lì a poco questi film avrebbero modificato alcuni elementi per una riscrittura del genere che avesse ancora la forza di appassionare lo spettatore. Viene introdotto l’elemento della violenza sadica e cruenta e Dario Argento è ancora una volta l’iniziatore con il leggendario “Profondo Rosso”. In questo scenario nasce “Gatti rossi in un labirinto di vetro”, l’ultimo giallo che Lenzi diresse prima di dedicarsi a tempo pieno al poliziesco. Umberto Lenzi nei primi anni ’70 è riuscito a cavalcare la moda del thriller argentiano con risultati più che soddisfacenti, regalando al pubblico una serie di film coinvolgenti e ben orchestrati; “Gatti rossi in un labirinto di vetro” viene spesso indicato come il punto più basso raggiunto dal regista toscano e in effetti manca il meccanismo intricato e intelligente di “Sette orchidee macchiare di rosso” e l’eleganza di “Spasmo”, però abbiamo comunque a che fare con un prodotto di buona qualità, forse uno dei prodotti più meritevoli del tardo thriller all’italiana. Già dal titolo si può intuire l’influenza che il cinema di Dario Argento ha avuto su questa opera, grazie all’uso ricorrente di animali, colori e numeri nell’elaborazione di un titolo ad effetto. Anche la struttura è quella classica dei gialli di quel periodo, con un intricatissimo plot che vede crescere gradualmente il sospetto su ogni personaggio del film; ma in “Gatti rossi in un labirinto di vetro” possiamo comunque giovare di una sceneggiatura (ad opera dello stesso Lenzi) costruita con intelligenza e senso della partecipazione spettatoriale, capace di coinvolgere funzionalmente nell’indagine lo stesso spettatore. L’unico punto debole può essere ravvisato nel colpo di scena finale e, soprattutto, nel movente dell’assassino che appare decisamente improbabile e molto artificioso. La scena finale, comunque, è pregna di quella macabra spettacolarità che rende memorabile l’intero film, grazie ad una ferocia visiva che riesce a far sorvolare sull’appena citato “movente folle”. La solare ambientazione spagnola è un elemento alquanto insolito per un thriller, così come appare insolita anche la massiccia dose di violenza presente in questo film, che potrebbe apparire come una sorta di intermediario tra il linguaggio soft-violento dei primi thriller italiani e quello più esplicito e dedito allo shock dei thriller post “Profondo Rosso”. In sostanza “Gatti rossi in un labirinto di vetro” non presenta scene di grande impatto violento, anzi, gli omicidi sono spesso suggeriti o fuori campo, ma la ferocia delle uccisioni e la modalità con cui agisce l’assassino (l’esportazione dell’occhio destro), rendono questo film più crudo di molti altri suoi epigoni. Nel cast possiamo trovare alcuni volti noti del genere, da John Richardson (“I corpi presentano tracce di violenza carnale”; “Murder Obsession”) nei panni del protagonista Mark Burton, a Martine Brochard (“Prigione di donne”; “Murder Obsession”) che qui interpreta Paulette, passando per il veterano George Rigaud (“Perché quelle strane gocce di sangue sul corpo di Jennifer?”; “Tutti i colori del buio”), ovvero il reverendo Bronson, fino a Verònica Miriel (la Marisol di “Un sacco bello”) nei panni della giovane Jenny. Lenzi ha sempre definito “Gatti rossi in un labirinto di vetro” un lavoro non del tutto riuscito, poiché, a suo dire, ha avuto pochi mezzi a disposizione, ma guardando il film si ha comunque la sensazione di assistere ad un’opera sobria e realizzata con gran mestiere, un genuino prodotto di genere che non delude l’appassionato.

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